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    Lettere
    2 Novembre 2011
    Eluana, e se tutti avessero ragione?
    Nella vicenda complessiva della povera Englaro ho deciso di tenere un profilo possibilista: tutti, salvo rare ed a me sconosciute eccezioni, sono convinti, in assoluta buona fede, di essere nel giusto.
    Ancor di più sono persuaso che tutti “devono”, (e non possono non essere), in buona fede e non saprei né potrei confrontarmi con nessuno sulla intera vicenda, senza l’interiore certezza che il mio interlocutore versi nello stesso stato di buona fede in cui anch’io mi trovo ad essere.
    Solo così posso riflettere e “sezionare” la vicenda in almeno tre distinti piani di ragionamento: quello etico-socio-familiare, quello giuridico-giurisdizionale ed, infine, quello politico costituzionale.
    Sotto il primo profilo credo non vi sia persona sensata che non riconosca il dramma in cui versa una famiglia, un rapporto, una micro-comunità, allorché un suo appartenente si trovi nello stato in cui si trovava la Englaro. Chiunque, nelle stesse condizioni, si sarà posto il problema se la morte sia la soluzione migliore per la persona in quello stato ed anche per coloro che ne hanno carico. Molti, di fronte a quella situazione, almeno per una volta si sono chiesti se sia giusto che Dio consenta che avvenga e si protragga nel tempo, quello che oggi corrode i nostri pensieri ed i nostri cuori.
    Dunque senza certezze, con molti dubbi e senza ipocrisia non so come mi comporterei, non voglio giudicare chi fa le scelte che ha fatto: portare la croce di quel calvario forte della fede oppure, in nome della ragione, fare di tutto perché quel calvario cessi.
    Più articolata e complessa è la seconda questione di diritto vigente e “de iure condendo” e la connessa altra questione della giurisdizione, cioè dei provvedimenti del giudice e del confine esistente fra l’interpretazione delle norme esistenti e la contigua (ma opposta) funzione creativa di norme (che ancora non esistono) attraverso le sentenze o altri strumenti della giurisdizione.
    Almeno così è nel nostro paese!
    Altrove il giudice può creare “il precedente” che non è la legge ma che, con la reiterazione nella stessa direzione, assume la forza della legge. Ma da noi, vuoi sotto il profilo costituzionale che sotto quello della legislazione ordinaria non è così.
    Esiste, è vero, la interpretazione evolutiva delle norme esistenti, evoluzione che può “sfiorare” la enucleazione di una nuova disciplina, ma non può né deve assumere il rango di norma positiva (lo ius in civitate positum).
    Nella vicenda della Englaro, alla richiesta della famiglia di procedere come poi si è proceduto, vi è stato dapprima il diniego del Tribunale di Lecco, poi diverse (credo ben sette) decisioni della Corte di Appello di Milano, anch’esse di diniego. 
    Infine la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio l’ultima decisione della Corte di Appello di Milano e lo ha fatto con una interpretazione evolutiva dell’articolo 32, 2° comma della Costituzione che è utile riportare testualmente:
    “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”
    Per semplicità gli argomenti della Cassazione sarebbero questi.
    1) Non è vero che “il caso” non è disciplinato da alcuna legge: la legge già c’è ed è l’articolo 32, 2° comma della Costituzione che, nella sua formulazione, è direttamente precettivo ed applicabile e non necessita, al limite, di alcuna norma ordinaria che ne sia corollario ed attuativa.
    2) L’alimentazione forzosa, in determinate situazioni, è la medesima cosa di quel “trattamento sanitario” al quale nessuno può essere obbligato se non per disposizione di legge. Cioè argomentando a contrariis: se non c’è una legge che obblighi alcuno a ricevere l’alimentazione forzosa né alcuno, neppure i medici, a praticarla, quindi l’equazione trattamento sanitario=alimentazione forzosa comporta la possibilità di interrompere le seconda, l’alimentazione.
    3) La volontà del soggetto di rifiutare la alimentazione forzosa ritenuta eguale al trattamento sanitario può essere desunta in qualunque modo, per testimoni, per presunzioni, per deduzione e, soprattutto, la volontà manifestata in un tempo passato ed in un contesto determinato si deve presumere stabile e persistente, anche quanto non si sa se il soggetto – divenuto incapace – manterrebbe o meno adesso quella stessa volontà.
    E’ così chiaro che le argomentazioni sopra esposte possono essere totalmente osteggiate o totalmente condivise, a seconda dell’approccio di ciascuno sia in punto di essenza della giurisdizione sia in punto di contenuto concreto del provvedimento.
    Anche in questo voglio e debbo credere che tutti siano in buona fede, convinti delle proprie argomentazioni e delle conclusioni che ne traggono.
    Dico solo che invocare l’autorità della sentenza in una materia di giurisdizione volontaria, che ha per la più natura quasi amministrativa la quale si traduce in autorizzazioni, permessi e facoltà e che non risolve conflitti tra soggetti o fra soggetti e lo stato è fuori luogo ed anzi l’attenzione andrebbe spostata dalla autorità alla autorevolezza della sentenza.
    La prima è dotata della forza del giudicato e della legge la seconda, l’autorevolezza, deve essere dotata di ragione e condivisione.
    Vi è infine il terzo ed ultimo profilo, quello politico e costituzionale, che attiene a vari aspetti sui quali molti commentatori e parti politiche si sono avventurati.
    1) La politica, si dice, avrebbe avuto tempo per legiferare e provvedere e se non lo ha fatto è colpevole.
    2) La Corte Costituzionale si è già occupata dell’argomento, nel decidere sul conflitto di attribuzione sollevato dalle Camere.
    3) La decretazione d’urgenza necessita di requisiti rigorosamente fissati dall’articolo 76 della Costituzione ed il Presidente della Repubblica ha ritenuto che tali requisiti non vi erano e dunque bene avrebbe fatto ad anticipare il suo diniego di firma del decreto legge.
    4) La domanda spontanea in termini di democrazia che pochi, mi pare, abbiano posto con la forza e la chiarezza necessaria è se il Governo possa con un “decretum principis” porre nel nulla un provvedimento definitivo del Giudice e quali pericoli creerebbe per la democrazia un siffatto precedente.
    5) Il Presidente della Repubblica ha tenuto conto dell’inesistenza dei requisiti di necessità e urgenza oppure nella sua decisione è sotteso il timore di rischio democratico di un decreto legge che azzeri il contenuto di una sentenza?
    Vediamo le questioni una alla volta.
    Affermo con convinzione che la politica, il parlamento, le forze in campo, compresi i movimenti di opinioni e religiosi, avevano non solo tutto il diritto ma perfino il dovere di riflettere a lungo su temi così delicati come il testamento biologico (un ossimoro) , l’eutanasia ecc.
    E’ ingiusto accusare la politica anche se ormai va di moda! L’accelerazione è stata imposta dai fatti: la sentenza della Cassazione e della Corte di Appello in sede di rinvio sono di ottobre/novembre di quest’anno.
    Quindi dire che la politica è stata colpevole è una baggianata, uno stupido cullarsi sull’onda dell’antipolitica.
    La Corte Costituzionale, e questo è il secondo aspetto, ha deciso solo ( e nulla più!) che non vi fosse conflitto di attribuzioni fra Parlamento e Magistratura nella sentenza della Cassazione, perchè la Cassazione nel caso Englaro avrebbe mantenuto il suo operare nell’alvo dell’intepretazione, dell’ermeneutica con riferimento all’art.32 della Costituzione e dello ius edicere e non avrebbe operato sconfinamenti nella funzione legislativa con una sentenza creativa di norme.
    Il terzo profilo è paradossale: mentre i decreti legge sono stati riconosciuti muniti di necessità ed urgenza in molteplici casi, con forzature ridicole (nel 1996 ci fu un decreto legge che era alla ventiduesima reiterazione perché “nasceva” nel 1992), nel caso della Englaro credo che il pericolo di morte e poi la morte così veloce diano con chiarezza la prova che la necessità e l’urgenza c’erano eccome.
    Ma, e qui emerge il quarto profilo, la sacralità della giurisdizione, la sua funzione di punto di coagulo nello stato di diritto, l’essere divenuta anche un totem politico con molti adoratori non può essere sgretolata da un atto del potere legislativo, perché questo precedente sarebbe un pericolo mortale per la democrazia.
    Ma, con un distinguo: nel caso della Englaro siamo in tema di giurisdizione che non dispone la ricomposizione dell’ordine giuridico turbato e violato, ma siamo in quella giurisdizione, cosiddetta volontaria, che autorizza, consente, permette e concede facoltà e poteri.
    Resta l’ultimo profilo quello del comportamento del Presidente della Repubblica e del Governo.
    Io sono persuaso che ambedue gli organi hanno dato la prova degli equilibri esistenti nel nostro ordinamento, la fotografia chiara di come abbia ben funzionato il meccanismo dei “cheks and balances” e che dunque il sistema nel suo complesso ha tenuto.
    Qualcuno, dopo, ha perso la calma e la trebisonda ed ha dato fuori di testa.
    Qualcuno ha gridato all’attentato alla Costituzione.
    Ma tutto, com’è giusto, deve spegnersi e si spegnerà.
    Ora, penso è il momento del rispetto reciproco: rispetto delle opinioni, rispetto anche delle esagerazioni e, soprattutto, la condivisione di una normativa non più rinviabile e condivisa.
    Occorre mettere il silenziatore alle polemiche e agli insulti, alle dietrologie e al caos perché davvero non se non può più.
    Paolo Becchetti