Parlare del virus dell’epatite C in breve e con linguaggio accessibile anche ai “non addetti ai lavori”, rappresenta un impegno difficile. L’argomento, oggetto di continue ricerche ed aggiornamenti, richiederebbe molto di più di un breve resoconto. Ciò nonostante ritengo utile portare un modestissimo contributo alla diffusione delle notizie fondamentali su quest’agente portatore di patologie frequenti, talvolta ignorato e talvolta, purtroppo, sottostimato.
Che cos’è, come è fatto e come agisce.
Con HCV si classifica un virus contenente un singolo filamento di RNA, d’aspetto sferico e capsulato; si riconoscono vari principali genotipi e vari sottotipi e si presuppone che altri ancora se ne potranno individuare. In Europa sono più comuni i genotipi 1, 2 e 3, dove il primo risulta predominante. La rapidità d’accumulo di mutazioni all’interno del genoma virale è la causa delle variazioni e diversità genetiche: di fatto si tratta di un virus “difficile”, di un Killer sfuggente che, come tutti i virus, parassita le cellule servendosi della loro “macchina riproduttiva” , distruggendola e diffondendosi ad altre cellule per ricominciare, così, il ciclo perverso.
Brevi dati epidemiologici.
La malattia è a dimensioni mondiali. Si stima che i portatori cronici siano circa 170.000.000 di cui almeno 5.000.000 nella sola Europa Occidentale dove l’incidenza minore risulta in Svezia, Gran Bretagna e Finlandia. La trasmissione avviene per via ematica ed i soggetti più esposti al rischio di contagio sono, di conseguenza, i politrasfusi (in particolare, prima del 1992), i tossico-dipendenti (per l’insana abitudine di iniettarsi droghe con siringhe ad uso promiscuo), i nati da madri infette, coloro che conducono attività sessuali con tossicodipendenti, molteplici partner o con rapporti anali, coloro che condividono strumenti d’igiene personale (forbici, rasoi, spazzolini da denti …) o che effettuano tatuaggi o piercing in ambienti non autorizzati.
Clinica e complicanze
La malattia, nella gran parte dei casi, segue una progressione lenta. Difficilmente l’HCV, a differenza di altri virus, induce un’epatite acuta classica o addirittura fulminante. Più facilmente lavora nell’ombra e talvolta la sua scoperta è un reperto occasionale in corso d’indagini di laboratorio, di routine. Vaghi segni, peraltro piuttosto generici, possono essere presenti all’inizio: astenia, nausea, lieve calo ponderale, anoressia, artralgia; sintomi, come si vede bene, che possano essere attribuiti a patologie le più varie e che talvolta, per la loro lieve intensità e durata, vengono trascurati anche dagli interessati che li attribuiscono a cause diverse. Un 20% d’infettati va incontro a remissione spontanea, un altro 25% resterà asintomatico con lesioni istologiche benigne mentre i restanti 35% presentano lesioni istologiche lievi-moderate. Solo un 20% andrà incontro, in un arco di 10/20 anni, a cirrosi, con le tipiche complicanze di quest’ultima patologia. Il rischio più grave, però, rimane quello della possibile induzione di un epatocarcinoma che statisticamente colpisce circa il 14% di coloro che hanno sviluppato una cirrosi. E’ evidente, ora, come il virus C si differenzi nelle grosse linee dagli altri virus epatolesivi determinando un quadro patologico grave più per le complicanze che induce la sua opera continua e silenziosa che per la sua infettività acuta.
Diagnostica.
La diagnosi, in assenza o quasi di sintomatologia soggettiva, viene posta spesso occasionalmente o in seguito a fondato sospetto d’avvenuto contagio. Molto sinteticamente la diagnostica di laboratorio si basa oltre che su gli indici generici di danno epatico (AST, ALT, GGT, F.Alcalina ….) anche e soprattutto, sulla ricerca d’anticorpi Anti HCV seguita, in caso di positività, dall’indagine qualitativa e quantitativa del virus. Ricordo ancora che dei genotipi più frequenti: 1, 2 e 3, il più diffuso e, purtroppo più difficile da trattare, è il sottotipo 1a e 1b. E’ bene sottolineare anche che la presenza d’anticorpi Anti HCV RNA (IGM) è considerato un indice prognostico-terapeutico favorevole, in particolare, se accompagnato da valori normali di transaminasi.
Strategie Terapeutiche.
Non esiste un’arma sicura per debellare il virus sempre e comunque: negli ultimi anni tuttavia sono state messe a punto delle strategie nuove con risultati sempre più soddisfacenti ed incoraggianti per il futuro. E’ intuitivo che lo scopo principale della terapia è quello di eliminare l’agente patogeno prima che abbia indotto danni seri o addirittura irreversibili al parenchima epatico. Non starò qui soffermarmi sulle tante terapie di “supporto” in caso d’epatite cronica, di cirrosi o addirittura d’epatocarcinoma: queste rappresentano un altro vasto capitolo, peraltro molto controverso, che prescinde dagli scopi di questo breve scritto. Proverò invece ad illustrare con estrema sintesi le indicazioni e le terapie attuali. L’interferone (IFN), rappresenta oggi l’arma più importante contro l’HCV: ne sono stati prodotte varie tipologie con vari schemi terapeutici. L’attenta ricerca poneva all’attenzione come l’IFN alfa, usato per periodi prolungati (12 mesi) e con dosi elevate (6 M/UI), pur dando discreti risultati manifestava il limite nella sua breve emivita (4/6 ore), mentre, nello stesso periodo, il virus era in grado di raddoppiare la sua concentrazione. Si rendeva indispensabile una tecnica farmaceutica che consentisse di rallentare l’assorbimento dando una dismissione prolungata e tale da agire, quindi, con efficacia costante sulla replicazione virale. La coniugazione di IFN con il polietilene glicole (pegilazione) ha dato origine ad un nuovo farmaco: Interferone Pegilato (IFN PGN) dove una tollerabilità sovrapponibile al solo INF viene coniugata con una valenza terapeutica di gran lunga più incisiva. Un altro farmaco sicuramente attivo sul virus è la Ribavirina che viene usata quasi sempre in combinazione con IFN PGN. I target migliori per un’efficacia terapeutica IFN-PGN/Ribavirina sono l’età inferiore ai 40 anni, il genotipo virale 2 o 3, la carica virale inferiore ad 800.000 ed il sesso femminile: in questi casi si ottengono le più alte percentuali di successi terapeutici (fino ad 80%). I casi meno fortunati e, purtroppo, più frequenti, dove è presente il genotipo 1 o altri fattori sfavorevoli, hanno comunque un’elevata probabilità di successo (fino al 50% secondo i casi). E’ evidente che per successo terapeutico s’intende la scomparsa del virus e la negatività nei dati di laboratorio per almeno sei mesi dallo stop terapia, ciò che lascia fortemente sperare in una guarigione definitiva. Un cenno si rende indispensabile sulla profilssi con un’efficace vaccinazione: anche qui gli sudi e le ricerche sono costanti, purtroppo l’estrema variabilità virale ha inficiato fino ad ora la messa a punto di questa formidabile arma. Speranze future.Sono legate, come sempre, ad una maggiore diffusione della conoscenza sull’eziopatogenesi e diffusività della patologia epatica HCV correlata, a tutta la popolazione: la prevenzione resta sempre l’arma migliore. Sono comunque allo studio nuovi farmaci e nuove combinazioni terapeutiche: IFNalfa 2a/amantidina, IFNalfa2a/Ribavirina ed Amantidina, IFNalfa2a/Mucofenolato …. Con risultati ancora incerti e contraddittori. Una notizia, infine, risulta molto interessante: sembra che l’immunosoppressore più utilizzato nei trapianti d’organo, la Ciclosporina, impedisca la replicazione virale HCV inducendo un duplice vantaggio a coloro che sono dovuti ricorrere al trapianto del fegato: evitare il rigetto e bloccare contemporaneamente la replicazione, foriera di nuova epatite nel fegato trapiantato.
Conclusioni.
In questi ultimi anni la continua ricerca e la clinica applicata hanno sollevato molti veli su quello che fino a non molto tempo fa era classificato per esclusione “Virus non A non B”. Nuove tecniche diagnostiche e terapeutiche sono allo studio o si prospettano all’orizzonte. Non è stata ancora vinta del tutto la guerra contro il “ Killer Silenzioso” ma molte strade sono aperte e foriere di grandi speranze.
Dr. Umberto NATALINI