SANTA MARINELLA – Lo abbiamo incontrato di fronte all’ospedale, dove arriva ogni mattina alle nove in punto. «Dopo una certa ora l’ostello della Caritas va liberato e io dormo qui, al San Paolo». Gianni Forleo, 68 anni, è noto a Civitavecchia: per dieci anni ha gestito il bar ristorante ‘‘La Rosa dei Venti’’ a Riva di Traiano. «Fatturavo dai 15 ai venti milioni di lire al giorno – spiega orgoglioso – poi delle scelte sbagliate mi hanno portato fino a qui». Nel 2001 il locale ha chiuso e Forleo, in contrasto con la sua famiglia, ha iniziato una vita ai margini. Non ama, naturalmente, essere definito un barbone: «Sono un uomo dalle mille idee, abbandonato da tutti». Dopo una vita agiata ha conosciuto cosa significa dormire in strada, ‘‘visitando’’ per brevi periodi alcune strutture assistenziali per anziani, dislocate sul territorio. Una delle sue tappe ha riguardato proprio Villa Chiara, la casa di riposo di Santa Severa salita tristemente all’onore delle cronache dopo il decesso di due anziani ospiti per asfissia, a causa di un incendio. Ora che i coniugi Adriana Gigliotti e Dino Cipollini, gestori della struttura, sono stati arrestati con l’accusa di duplice omicidio aggravato e sequestro di persona, Gianni Forleo ha deciso di raccontare le sue vicissitudini.
Come mai è stato indirizzato a Villa Chiara?
«È una lunga storia, io sono autosufficiente anche se malato di diabete ma percepisco solo 420 euro di pensione al mese. Naturalmente ho bisogno di un tetto, non posso sempre dormire sulle panchine».
Il suo girovagare ad un certo punto si è fermato a Bologna.
«Purtroppo però alla stazione sono stato colpito da un infarto e dopo le cure mediche sono tornato a Civitavecchia. Sono stato un periodo alla Caritas, poi i Servizi sociali mi hanno trovato un posto a Villa Chiara. Pagavo 188 euro, altri 1000 li versava il Comune, eppure non ero soddisfatto: tutto sporco, un servizio scadente tanto che preferivo mangiare fuori dalla struttura».
Tutto qui?
«No. Mi trascuravano: uscivo da Villa Chiara la mattina, tornavo il pomeriggio per riposare e poi di nuovo fuori fino a sera. Gli altri ospiti stavano male, io lo vedevo, molti di loro non erano neppure in grado di riferirlo ai parenti per via dell’età o perché non ci stava col cervello.
Agli altri anziani hanno dato precise disposizioni: con me non dovevano più parlare … davo loro un sacco di consigli. La signora che gestiva il centro una volta mi ha sequestrato un pacco di biscotti dicendo che nell’armadio non potevano stare».
Ci sono stati episodi particolari a cui lei ha assistito?
«Un giorno il personale ha aggredito, chissà per quale motivo, una vecchietta di oltre 100 anni, con un cucchiaio. Quando arrivò l’ambulanza vidi che la donna aveva il polso fasciato e chiesi agli infermieri ‘‘Non la fate la denuncia?’’. Mi risposero che non spettava a loro. Fu l’ultimo atto, poi decisi di andarmene con una scusa».
Ha mai segnalato abusi durante la sua permanenza?
«Quella gente era ammanicata: una volta per farmi capire quanto contavano in mia presenza hanno detto ad alta voce ad un pubblico ufficiale: ‘‘Venga pure a trovarci, aspettiamo una sua visita’’. Che potevo fare?».
Poi però le cose sono cambiate.
«Dopo che ho lasciato Villa Chiara sono tornato in strada.
Una mattina un poliziotto mi ha notato su una panchina nel centro di Civitavecchia e mi ha svegliato. Lo conoscevo, mi sono fidato e ho raccontato tutto».
Come è finita?
«Male, tutto nel dimenticatoio. Si sa che fino a quando non ci scappa il morto nessuno si muove».
Perché oggi ha deciso di raccontare tutto questo?
«Affinché certe cose non capitino più.
Il 1° febbraio, quando ho letto il giornale mi sono precipitato dai Carabinieri.
Al capitano ho raccontato ogni cosa, anche dello stanzino chiuso dall’esterno in cui rifiutai di dormire quando mi fu proposto. Anche lui ha capito che sarei potuto essere il terzo morto».
Cronaca
2 Novembre 2011
«Sarei stato il terzo morto, sono fuggito»