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    Cultura e Spettacoli
    2 Novembre 2011
    «Un museo per la ‘‘copia’’ di Raffaello»

    di MATTEO MARINARO

    CIVITAVECCHIA – Chi l’avrebbe mai detto che tra le pareti di un modesto appartamento al civico 2 di piazza Leandra era custodito un tesoro d’arte. Erano i primi anni settanta quando Tarcisio De Paolis, carabiniere in pensione, acquistò quella casa per trascorrere una vita serena con la sua famiglia. Iniziò i lavori di restauro, e dovendo tinteggiare le pareti iniziò a togliere gli strati di vecchia tinta. Giunto nella stanza da letto però si dovette fermare. Grattando il muro iniziò a comparirgli davanti la figura di una spada. Raschiando ancora, venne alla luce un braccio, e poi la figura di un angelo. Proseguendo i saggi dalle altre 3 pareti uscirono fuori altri dipinti. Era il 1972. Soltanto qualche anno più tardi Tarcisio si rese conto di avere in casa un’opera unica al mondo. La dottoressa Nicole Dacos, una delle più quotate studiose di Raffaello, non ebbe dubbi: le pitture di quell’appartamento erano opera dell’incisore Ugo da Carpi, artista di ottimo livello, inventore dalle xilorafia a più colori, ma soprattutto ‘‘riproduttore’’ in quanto esponente della sua scuola del celebre Raffaello. De Paolis scoprì che nella sua camera da letto c’era una replica fedele e coeva della Stanza di Eliodoro, una delle quattro stanze vaticane realizzate da Raffaello. Perché un’opera del genere in quell’appartamento? Ma soprattutto chi la commissionò? Quel che di certo si sa è che nel secondo decennio del ‘500 quella casa era ospitata all’interno di una torre. Tra il 1511 e il 1514 il genio di Urbino realizzò le Stanze in Vaticano per Papa Giulio II, figura cruciale per la storia Civitavecchiese. Fu proprio lui infatti a volere la costruzione del Forte Michelangelo. Il nesso storico c’è, ma i colpi di scena e gli scherzi del destino sembrano accompagnare questa storia. Dopo il ritrovamento nella palazzina si scatenò una sorta di caccia al tesoro dietro i muri. Il proprietario, nonostante il sostegno e l’interesse del giornalista civitavecchiese Alvaro Ranzoni che a lungo si interessò del caso effettuando ricerche presso la Santa Sede e coinvolgendo esperti che confermarono l’antichità dell’opera, decise di ‘‘dormire sonni tranquilli’’. Temeva che gli venisse confiscata casa: coprì tutto. Ranzoni, tornato dall’estero dove era stato a lungo corrispondente per un settimanale, lo convinse poi a riscoprire una piccola parte per pubblicarne la storia. Ma lo sfortunato ‘‘Raffaello di Civitavecchia’’ subì un altro colpo del fato: il settimanale di Ranzoni cambiò editore e il giornalista non scrisse più nulla. «Vorrei che quella casa diventasse un piccolo museo – ha precisato Ranzoni – e mercoledì prossimo, in occasione del convegno che si terrà nell’ambito delle celebrazioni per i 500 anni del Forte Michelangelo, lancerò un nuovo appello per cercare un finanziatore che sostenga il recupero e lo studio sui dipinti». Per l’occasione tornerà in città Nicole Dacos e interverrà anche Vittorio Sgarbi.