CIVITAVECCHIA – “Gentile direttore, “La Provincia” del 29/04/2011 riporta, a pag. 6, un’ottima ricognizione della festa patronale di Santa Fermina da poco celebrata. Tra le belle ed edificanti cose si legge, nel box di fondo pagina, che l’orafo civitavecchiese Marco Mancini ha realizzato, per l’occasione, su disegno del compianto Monsignor Chenis, un’aureola d’argento che da adesso, dopo la solenne benedizione impartita dai Mons. Marrucci e Reali, adornerà il capo della Santa la cui statua trovasi nell’edicola della cappella. Lodevole, inoltre, che lo stesso orafo, nel 1999 avesse già donato un gioiello aureo quale contributo personale verso la Santa. E bene fa la stampa – come in questo caso il tuo giornale – a rendere conto di siffatti esempi perché è giusto e degno riconoscere – unicuique suum – meriti e capacità specialmente nel caso in cui vi si ravvisi la connotazione della gratuità.
Il 28 Aprile del 2004, nella ricorrenza della Patrona, il programma dei riti e delle cerimonie prevedeva una novità: la solenne inaugurazione della cappella titolare arredata e corredata da un’imponente edicola lignea di disegno classico, montata sull’altare e abbellita da una serie di decori a foglia d’oro e finti marmi. Un’opera che io ho progettato e realizzato, con la sapiente collaborazione del maestro ebanista Antonino De Fazi autore della struttura. In quel frangente, dico a fine Santa Messa, conclusisi i riti sacri ed esauritisi la sfilata di personaggi, delle autorità, delle rappresentanze recanti doni e offerte, il comitato Pro Santa Fermina, avrebbe dovuto procedere alla presentazione pubblica dell’opera. Ma, probabilmente, oberato da chissà quali defatiganti impegni d’ordine strategico, se ne dimenticò e, tra lo stupore mio, di De Fazi e dei fedeli, con “l’Ite Missa est” la Chiesa cattedrale si svuotò e la stampa tacque. Per sempre.
Caro direttore, non è mia intenzione, credimi, confezionare qui una polemica pur se sarebbe il caso di scherzare coi fanti, ma questa difformità mediatica, tra il 2004 ed il 2011 mi scende come sale su un’antica ferita. Io credo che, dopo 15 mesi di lavoro quotidiano svolto in totale e devota gratuità – settembre 2002/dicembre 2003 – avessi il minuscolo diritto o, quanto meno, il legittimo umano desiderio a che i responsabili del Comitato – il cui stemma campeggia sull’edicola – mi gratificassero di un seppur minimo cenno pubblico, sull’altare preferibilmente, con trafiletto di convenienza, come quello che oggi onora Marco Mancini; due righe che, lungi dal costituire chissà quale esaltazione, attribuisse a me e al maestro De Fazi, un piccolo onore.
Cosa che non è stata, ad onta di successiva e tardiva autografa resipiscenza dei responsabile dichiaratisi rammaricati per l’incidente (!). Ci sentimmo, quel giorno, mortificati. E’ la verità.
Ora, se tu credi che questa mia traspiri latenti e sottili sensi di risentimento o di rancore, cestinala pure: continueremo, De Fazi ed io, ad essere ignorati e a sopravvivere, tuttavia, secondo l’aureo motto: Bene vixit qui bene latuit. Se, invece, pensi che l’onestà e la giustizia siano i valori con cui si riconosce – come peraltro afferma Cristo – l’equa mercede all’operaio che ha bene lavorato, ti sarei grato per la pubblicazione.
Sine ira ac studio”.
professor Luciano Pranzetti