di CARLO CHENIS *
Nelle mie frequentazioni artistiche, spiegando le icone orientali, collegavo la Natività alla Passione. La mangiatoia, in cui Gesù fu posto, profetizza il sepolcro di Cristo. Le candide fasce di cui è cinto indicano le bende sepolcrali che avvolgeranno il suo cadavere. Infatti, l’umiliazione della nascita nella grotta è pari a quella della morte sul Calvario. Inizio e fine della vicenda di Gesù scandiscono un efferato dramma. Non certo per causa sua, bensì nostra. L’antico annuncio del Natale, solenne nel descrivere i fasti cronologici sulla venuta del Messia, quando ne canta il momento della nascita usa un tono di passione. La solennità è per noi, la passione è per lui. Del resto, Gesù non è venuto per diporto. Conosceva bene questo mondo. Conosceva altrettanto bene l’umanità, che amava nonostante i continui voltafaccia. Quindi è venuto per rappezzarci con il collante dell’eternità. Il suo arrivo non è stato notato. Per quel poco che si sapeva di lui, fu rifiutato e osteggiato. Tuttavia, da Betlemme è partita una storia diversa. Con essa Dio ha garantito il diritto al paradiso per tutti gli uomini di buona volontà. Considerazioni fatte e rifatte con affetti nostalgici e spirito orante. Ora che mi trovo a vivere il Natale aggredito dalla malattia, la visione si rifocalizza ampliandosi nel profondo. Comprendo meglio che la sua venuta è per indirizzare la nostra partenza. Mentre noi lo abbiamo accolto male, lui vuole accoglierci bene. Dunque, il Natale di Gesù in terra è in vista del nostro natale al cielo. Non è una favola. Non è una leggenda. È storia di ordinaria emarginazione ed è storia di straordinaria potenza. Ogni lucignolo del presepe o dell’albero indica la luce eterna di Dio. Ogni grazioso e ingenuo ornamento simboleggia la bellezza del paradiso al quale possono accedere gli umili e i misericordiosi, i pacificatori e gli altruisti. San Francesco nel rievocare a Greccio il presepe volle afferrare un pezzo di paradiso e trascinarlo in terra per indicare ai credenti il percorso e la meta. Si parte da Betlemme, lontano dai potenti del mondo e vicino all’onnipotenza di Dio. Betlemme è frammento di paradiso che rifulge attorno ad un povero neonato. Paradiso che possono riconoscere solo i sapienti e gli ultimi. Paradiso che va instillato nella quotidianità per essere temprati dal Calvario. Paradiso che si raggiunge definitivamente nella gioia della Pasqua, festa della vita senza fine. Anche noi, come Francesco, possiamo trascinare dal cielo un pezzo di paradiso, non solo di carta pesta, ma di atteggiamenti benevoli. È quello che sperimento in questo momento. Tante persone esprimono vicinanza immediata e discreta, silenziosa e fattiva. Comprendo, così il senso del Natale in questo mondo. Nell’altro, sarà ancora meglio, se riusciremo a difendere questi frammenti di paradiso in terra con la forza dell’amicizia e della solidarietà.
* Vescovo della Diocesi Civitavecchia – Tarquinia
Società
2 Novembre 2011
Trasciniamo dal cielo un pezzo di Paradiso