di LUCA GUERINI
CIVITAVECCHIA -Le compagnie professionistiche quando preparano un nuovo testo con cui partire in tournèe usano presentarlo prima in provincia per poi portarlo nelle grandi piazze. “Ladro di razza” sarà presentato da questa sera al Sala Umberto di Roma dove è in cartellone sino al 23 gennaio.. Nell’opera il protagonista è Tiberio che, uscito da Regina Coeli, trova ospitalità da un suo compagno Oreste grazie al quale conosce una donna molto ricca che potrebbe rappresentare la chiave di svolta per la sua vita fatta di stenti e fatiche. Le condizioni in cui arriva nella capitale meritano trattazione perché quello che si è visto a Civitavecchia dal 26 dicembre a ieri è un qualcosa ancora da rodare. Le compagnie professionistiche, in media, provano sette ore al giorno, mentre per una compagnia amatoriale il tempo disponibile settimanalmente non supera le tre ore. Importante nelle prove è la regia che dovrebbe appunto “dirigere” gli attori e non lasciarli in balia delle proprie intemperanze. Pannofino, Laganà e la Reggiani hanno dimostrato nonostante tutto di non essere nuovi del mestiere e talvolta hanno coperto con l’esperienza alcune falle che al debutto l’allestimento ancora presenta. Desta scalpore che alla prima ci sia ancora dietro le quinte il suggeritore, invocato più volte palesemente da Laganà e che i ritmi non funzionino in più punti. Dimenticare battute e farsi scoprire dal pubblico è una leggerezza che non andrebbe concessa. Qualcuno poi ci spieghi le scelte dello scenografo. I due ambienti (l’abitazione di Pannofino e l’appartamento della “giudia” Reggiani”) si alternano in continuazione nel testo di Clementi (diretto da un assente Stefano Reali), quindi che senso ha una struttura ad incastro apribile e richiudibile secondo esigenze la quale dunque costringe a lunghi e ripetuti momenti di buio? Per tutto quanto premesso la “trovata” è stata quella di intrattenere il pubblico con immagini d’epoca spesso sgranate e non comprensibili. I punti di forza sono però nel testo che indubbiamente ha richiesto maggiore tempo ed attenzione nella stesura che non quanto necessario per la messa in scena. Il neorealismo di Clementi, che già ci aveva abituato con l’Ebreo (con il direttore artistico Pino Quartullo tra gli interpreti) e che presto tornerà con il Ben Hur, deve essere tributato a dovere, essendo uno degli esponenti della nuova drammaturgia italiana, ma non si faccia l’errore di aprire il forno quando il dolce non è ancora cotto. In sintesi per questo nuovo appuntamento con il cartellone di prosa del Traiano ci siamo accorti di essere stati invitati ad un lauto cenone, peccato che la pietanza è stata servita fredda, o meglio, ancora acerba.