CIVITAVECCHIA – Riflettori ancora accesi sul centro di accoglienza ospitato presso la caserma De Carolis, dopo il caso di tubercolosi che si è registrato nei giorni scorsi. Il deputato del Pd, Pietro Tidei ha presentato un’interrogazione al ministro della Salute e a quello della Difesa, parlando di «un moderno lazzaretto», mentre si attende il responso del secondo esame al quale – presso l’ospedale Spallanzani di Roma – è stata sottoposta la donna contagiata, proprio per confermare o escludere che si tratti di tbc. Sulla questione ha fornito il proprio parere autorevole il professor Andrea De Maria, responsabile di infettivologia presso l’Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro di Genova.
Quale pericolo possono costituire centri di questo tipo, dove manca un presidio sanitario interno?
«Molto spesso ci si fa prendere dal lato emotivo nell’accogliere le persone in difficoltà, ma l’attività dei centri sanitari in questi casi è fondamentale».
Ciò significa che i controlli medici andrebbero ripetuti nel tempo?
«Gli ospiti vanno scrinati, le forme di tubercolosi possono manifestarsi anche dopo cinque anni dal loro arrivo».
I civitavecchiesi sono a rischio contagio?
«Non conosco le abitudine degli ospiti del centro, posso solo dire che i rischi generalmente li corrono i conviventi: per il contagio occorre un’esposizione prolungata e protratta».
La Asl RomaF ha fatto sapere che è stata subito attivata la profilassi antibiotica nei confronti dei conviventi e che è in corso di esecuzione il test di intradermoreazione secondo Mantoux. Questo basta?
«Bene la profilassi antibiotica, in quanto al test di intradermoreazione, dice solo se c’è stato contatto tra gli individui, non se la malattia si è già sviluppata. E poi occorrono dalle 48 alle 72 ore per la lettura dei dati».
C’è chi descrive la tubercolosi come una malattia ampiamente diffusa in Italia, è proprio così?
«Assolutamente no. Ogni anno si registrano circa 10/20 casi su 100mila, basti pensare che in Africa si parla di 250 casi l’anno su 100mila».
Con un rischio di questo tipo ritiene che il centro di Civitavecchia vada chiuso?
«No, anche perché così è più facile intervenire su chi ha bisogno di cure. Io preferisco vedere il bicchiere mezzo pieno, visto che gli allarmismi in casi come questi non aiutano di certo».
Bisogna però fare i conti con la realtà: il centro di accoglienza non ha un presidio sanitario interno e la Asl RomaF fa quello che può, naturalmente con le risorse che ha. Allarmismi a parte, la situazione non è certo rose e fiori, non trova?
«Ripeto: è necessario rafforzare il sistema di sorveglianza, gli allarmismi non aiutano, meglio aumentare i controlli sanitari».
Fa.Mar.
Sanità
30 Novembre 2011
«Meglio non chiudere il centro e aumentare i controlli»