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    Energia e ambiente
    4 Settembre 2015
    Permacultura vegana, una vita a basso impatto

    Ecologia, paesaggio, orticultura biologica, architettura. Ancora: geografia, antropologia, sociologia. Tante discipline per progettare e sviluppare insediamenti urbani e stili di vita a basso impatto. Un approccio articolato che trova una sintesi nella permacultura, parola coniata in Australia negli anni ‘70 da Bill Mollison e David Holmgren, unendo due parole e concetti: ‘agricoltura permanente’ (permanent agriculture). Una visione che oggi si è evoluta in un’idea più ampia di ‘cultura permanente’. Graham Burnett, docente di permacultura e fondatore dell’associazione Spiralseed, unisce l’approccio della permacultura all’etica vegana, che respinge lo sfruttamento degli animali. Da qui la sua ‘guida’ ‘Il libro della permacultura vegan’ che illustra principi e metodi per ‘mangiare sano e vivere in armonia con la Terra’ (Sonda).
    «L’idea della permacultura è quella di arrivare alla progettazione di insediamenti umani che non impattino sull’ambiente, o impattino il meno possibile, siano autosufficienti, sostenibili e riducano la propria impronta. Si basa su elementi razionali e solide basi scientifiche che vanno dall’ecologia alla botanica, dall’architettura all’agronomia, all’ingegneria: competenze a 360 gradi e soprattutto competenze vere», spiega Annalisa Malerba che ha tradotto e curato l’edizione italiana del libro di Burnett.
    «Il libro parla di come partire dalla propria realtà, e anche dalla propria interiorità, per allargarsi verso l’esterno e organizzare la propria vita in modo da essere il meno impattanti possibile e il più resilienti possibile. Un termine, resilienza, che è stato portato da noi dal Movimento delle città in transizione», racconta.
    Basandosi sull’etica della permacultura e del veganismo, Burnett propone strumenti ed esperienze pratiche per coltivare e raccogliere il cibo, per migliorare l’alimentazione, la salute e il benessere, per adottare uno stile di vita creativo e a basso impatto ecologico, per riprogettare le nostre abitazioni ma anche giardini, orti, e persino ‘boschi alimentari’, per rendere sempre più coesa e attiva la comunità cui apparteniamo. Ogni capitolo è arricchito da ricette dell’orto cruelty-free, con ortaggi, legumi, cereali, frutta, semi, bacche, germogli ed erbe, autoprodotti e a chilometro zero.
    «La permacultura – continua Malerba – insegna a disegnare lo spazio intorno a noi dividendolo in zone, come cerchi concentrici che si muovono a partire dalla persona per poi allargarsi fino alla cosiddetta zona selvaggia. Una visione che tenta di riprodurre visivamente la macrostruttura della produzione del cibo».
    Dalla ‘zona 0’, la casa o il luogo dove si vive, alla ‘zona 5’, la natura selvatica, dove l’uomo non progetta ma osserva per avere l’opportunità di imparare dagli ecosistemi e dai cicli naturali. Una suddivisione che Burnett usa come ‘trama’ del suo libro, utilizzandola per esplorare le relazioni con la terra, il cibo e le persone riunite in comunità.