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    Energia e ambiente
    18 Settembre 2015
    Foche, l’Ue rafforza il divieto di commercio di pelli e carne

    Confermato e rafforzato il divieto al commercio di prodotti di foca. Con le modifiche al testo originario del 2009, approvate oggi in plenaria al Parlamento Ue a maggioranza (631 favorevoli, 31 contrari, 33 astenuti), è stata applicata una ulteriore limitazione eliminando la deroga per quanto riguarda i prodotti derivati dalla caccia alle foche per la protezione degli stock ittici.
    Resta la deroga, secondo precise regole, che riguarda le tribù indigene. Agli Inuit, quindi, sarà consentito vendere prodotti derivati dalle foche nell’Unione Europea solo se i loro metodi di caccia tengono conto del benessere degli animali, sono parte della loro tradizione e contribuiscono al sostentamento della popolazione indigena.
    Nel 2009, l’Ue aveva vietato il commercio di prodotti di pelle di foca o carne. Il divieto, entrato in vigore nel 2010, ha permesso due eccezioni: una per i prodotti risultanti dalla caccia delle tribù indigene e l’altra per la piccola caccia che garantisce la «gestione delle risorse marine».
    La norma è stata contestata dal Canada e dalla Norvegia all’Organizzazione mondiale del commercio. Così, la Commissione europea ha proposto una modifica nel febbraio scorso. Ora la Commissione dovrà pronunciarsi, entro la fine del 2019, sull’applicazione delle nuove norme.
    «Si tratta di un risultato storico veramente importante per il quale la Lav, insieme ad un network internazionale di decine di organizzazioni impegnate da anni nel salvare le foche, è stata sempre in prima linea: dalla spedizione in Canada nel 2004 per documentare le atrocità commesse a questi animali, al lavoro svolto presso le sedi decisionali politiche e giudiziarie», sottolinea Simone Pavesi, responsabile Lav Campagna Pellicce.
    «Ora la Commissione Europea dovrà assicurare uno scrupoloso monitoraggio della filiera Inuit per evitare che il divieto generale di importazione e commercio venga strumentalizzato con l’apposizione di presunte certificazioni della sussistenza delle popolazioni indigene a copertura del business dell’industria della pellicceria», conclude.