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    Speciale medicina
    13 Novembre 2015
    Leucemia, il miracolo di Layla

    Un mese fa, il giorno dopo il primo compleanno della loro bambina, ai genitori di Layla Richards, una bimba inglese malata di una grave forma di leucemia linfoblastica acuta, era stato detto che per la piccola non c’era più alcuna speranza di cura. Oggi, grazie a una terapia genica di frontiera prima sperimentata solo sui topi, Layla è viva, sorride in braccio a mamma e papà, e non presenta più tracce del tumore del sangue che le era stato diagnosticato all’età di 3 mesi. Il caso, primo al mondo, è stato annunciato dai medici del Great Ormond Street Hospital di Londra e sarà descritto al prossimo meeting della Società americana di ematologia (Orlando, 5-8 dicembre). La terapia è stata utilizzata grazie alla collaborazione della compagnia biotecnologica francese Cellectis, che ha messo a punto speciali ‘forbici molecolari’ per il cosiddetto etiting genetico. La metodica, che permette di modificare il Dna con una specie di ‘taglia e cuci’, è stata usata sulle cellule immunitarie di un donatore sano per produrre linfociti T ogm, geneticamente modificati per uccidere solo ed esclusivamente le cellule leucemiche e per essere ‘invisibili’ alle pesanti terapie somministrate al paziente, nonché alle sue difese immunitarie. Le cellule disegnate su misura sono state iniettate a Layla, poi sottoposta a un secondo trapianto di midollo (ne aveva già subito uno dopo che la chemio iniziale era fallita) per permettere al suo organismo di riformare un sistema immunitario. Bisognerà aspettare un paio d’anno per definire la bambina guarita dal cancro, ma «la sua ripresa è quasi miracolosa», dice Paul Veys dell’ospedale londinese. I genitori di Layla, papà Ashleigh e mamma Lisa, entrambi 30enni, non hanno voluto arrendersi quando i medici proponevano come unica possibilità le cure palliative per accompagnare la piccola alla morte. «Abbiamo voluto dire sì a qualcosa di nuovo. Era spaventoso pensare che il trattamento non fosse mai stato utilizzato sull’uomo, ma ho deciso di assumermi il rischio», racconta il papà. «Abbiamo pregato che funzionasse e quando è successo ho pianto lacrime di gioia», ricorda la mamma. E nel ‘dietro le quinte’ di questa favola c’è anche un pezzo di Italia: i test preclinici sul trattamento, chiamato Ucart19, sono stati eseguiti alle porte di Milano nei laboratori del Nerviano Medical Sciences (Nms) attraverso la società Accelera del gruppo Nms, che svolge servizi di ricerca a contratto.