E’ il simbolo natalizio per eccellenza, quello che mette d’accordo davvero tutti. E’ l’albero di Natale, immancabile nelle case degli italiani, che sia vero o artificiale, riciclato, minimalista, super decorato, a tema. Ma l’albero di Natale rappresenta anche un vero e proprio business: secondo le stime di Coldiretti, l’abete naturale muove infatti un giro d’affari di oltre un centinaio di milioni di euro. Ma quanto sono disposti a spendere gli italiani per avere in casa l’immancabile decorazione natalizia? Secondo i dati della Cia, la Confederazione italiana agricoltori, per l’acquisto dell’albero di Natale, gli italiani spendono in media tra i 20 e i 45 euro per i “naturali” e tra i 10 e i 30 per i sintetici. L’anno scorso sono stati circa 12 milioni gli alberi di Natale nelle nostre case, più della metà “sintetici. Si apre qui l’eterna questione: albero vero o artificiale? Secondo la Cia, quello artificiale è meno ecologico e soprattutto quasi mai “made in Italy”, visto che nell’80% dei casi arrivano dalla Cina. Non è invece d’accordo l’Unione Nazionale Consumatori che considera quello artificiale più ecologico (visto che gli abeti muoiono immancabilmente dopo poco tempo) e duraturo, quindi riutilizzabile per anni. Tra le due opzioni (vero o artificiale) quella più amica dell’ambiente potrebbe essere… la terza: meglio un albero vero ma proveniente da realtà che garantiscono la gestione forestale sostenibile. Il suggerimento arriva dal Pefc Italia, lo schema di certificazione forestale che garantisce trasparenza in termini di tracciabilità e rispetto dei territori. Ci sono centinaia di aziende già certificate e scegliere i loro prodotti significa rafforzare un circolo virtuoso e contribuire a modificare le scelte imprenditoriali delle aziende della filiera bosco-legno. Qualche consiglio per chi opta per l’albero vero. Affidarsi a un vivaio per acquistare piante provenienti da attività agricola di tipo vivaistico, con ritorni positivi sull’economia rurale nazionale nel caso di piante di origine italiana certificata. Gli abeti coltivati sono contrassegnati da un tagliando di riconoscimento che indica denominazione del vivaio, luogo di origine, specie e età. Gli abeti presenti sul mercato natalizio derivano per lo più da coltivazioni vivaistiche specializzate e soltanto il 10% circa proviene da interventi colturali quali sfolli, diradamenti o potature, indispensabili per la corretta gestione dei boschi. Controllare che la pianta abbia le radici (molte volte muoiono perché non le hanno o sono stati estirpati a radice nuda) e una buona zolla. In caso di abeti senza radici (quelli sostenuti dalla classica croce di legno) è bene verificare che siano il frutto di diradamenti forestali autorizzati. Dal Corpo forestale dello Stato arriva poi un originale consiglio, quello di preferire ai classici abeti rossi e bianchi (sempre più spesso provenienti dall’estero) specie sempreverdi più tipiche del Mediterraneo che meglio si adattano ai nostri ambienti: cipresso, ginepro, alloro, corbezzolo, bosso o agrumi. Tollerano meglio gli stress, comprese le potature per farli somigliare ai più classici abeti. Perché tradizione può fare rima con innovazione. E dopo il Natale? Gli abeti sono specie di montagna, ricorda la Forestale, di norma incapaci di sopravvivere in climi caldi, estranee agli ecosistemi mediterranei, dove possono facilmente soffrire e morire. L’abete rosso, ad esempio, è un albero spontaneo che cresce solo sull’arco alpino e in alcuni tratti dell’Appennino e piantarlo in un bosco potrebbe anche rappresentare una sorta di inquinamento genetico. Meglio quindi piantarlo nel giardino di casa, per chi ne ha uno. E se l’albero si è seccato durante le feste, va destinato alla raccolta compostabile per permettere la sua trasformazione in compost che verrà poi usato come fertilizzante per nuove piante.
Energia e ambiente
17 Dicembre 2015
Albero di Natale, passione e business da oltre 100 milioni