logo
    Energia e ambiente
    28 Gennaio 2016
    Tutti i segreti del giardinaggio spaziale

    Sbocciano i primi fiori coltivati in orbita, ma come si innaffia in assenza di gravità? Come si garantisce l’illuminazione a una pianta e, soprattutto, perché si studiano le piante nello spazio? «Far sbocciare un fiore nello spazio non è proprio come gestire l’orto sul balcone. La vita in assenza di gravità comporta delle complicazioni non trascurabili. Ad esempio, una complicazione è legata all’irrigazione: l’acqua forma sfere che galleggiano come bolle di sapone anziché imbibire il terreno», spiega Renato Bruni, esperto di Biomimetica e autore del libro «Erba Volant. Imparare l’innovazione dalla piante» (Codice Edizioni). Non basta avere un astronauta con il pollice verde: bisogna fare i conti con l’assenza di gravità, con il fatto che le piante devono crescere in condizioni quasi sterili (e la minima infezione batterica creerebbe problemi seri non solo all’orto ma anche agli astronauti), con la necessità di una ventilazione per che oltre certe condizioni è difficile da ottenere nel chiuso di un’astronave. A complicare la vita del «giardiniere spaziale» ci si mettono le radiazioni. «Alcuni decenni fa, i russi hanno portato in orbita sulla stazione Mir dei semi di pomodoro e li hanno riportati sulla Terra dopo alcune settimane: avevano subito mutazioni genetiche 20 volte superiori a quelle ordinarie sulla terra e una volta piantati molti non sono stati più in grado di germinare», racconta Bruni. Nello spazio, dal 2015 gli astronauti hanno a disposizione «Veggie», un nuovo apparecchio speciale per le piante che crescono ognuna «in una celletta contenente dei panetti a base di un’argilla speciale molto compatta, arricchita con un fertilizzante a lento rilascio. Ogni celletta è dotata di illuminazione a Led regolabile. “Tramite questi esperimenti stiamo scoprendo che le piante si adattano alla vita nello spazio grazie alla loro innata flessibilità, la stessa che ha permesso loro di colonizzare ogni angolo del pianeta, molto prima di noi». Ora che la Nasa sa che si possono ottenere fiori, punta a produrre dei frutti. L’insalata è già stata fatta crescere, un paio piante di lattuga romana; è stato condotto anche un esperimento su un parente del cavolo, ma non si è arrivati a produrre materiale commestibile. I pomodori arriveranno: la Nasa ha già fatto i suoi piani e vorrebbe ottenere il primo raccolto di pomodori entro il 2017. «Aspettiamoci delle belle foto anche per allora, se tutto va bene». E il sapore? «Senza gravità, con luce artificiale, senza la compagnia di altre piante e dei tanti microrganismi che le accompagnano su foglie e radici le piante sintetizzano altri composti. Ad esempio producono meno lignina, sostanza che fa assumere ai fusti una consistenza coriacea, ovvero restano più tenere e come le loro omologhe in serra tendono a produrre meno composti volatili, quelli che conferiscono profumo. Diventano anche più grandi, ad esempio le zinne fiorite nei giorni scorsi hanno dimensioni maggiori del solito». E sono stati congelati per essere poi studiati sulla Terra.