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    Speciale medicina
    14 Maggio 2016
    Ecco i primi embrioni in provetta

    Messa a punto una nuova tecnica che consente agli embrioni umani di svilupparsi ‘in provetta’ fino allo stadio in cui, normalmente, si impianterebbero nell’utero materno, consentendo di analizzare per la prima volta i passaggi della crescita dell’embrione fino a 13 giorni dal momento della fecondazione. Un sistema che potrebbe aprire nuove strade nella ricerca volta a migliorare le possibilità di riuscita della procreazione medicalmente assistita. Una volta che l’ovocita femminile viene fecondato da uno spermatozoo, si divide diverse volte per generare una piccola sfera fluttuante di cellule staminali. A partire dal terzo giorno, queste cellule si raggruppano all’interno dell’embrione verso un lato, raggiungendo lo stato di blastocisti. Tuttavia, al settimo giorno di sviluppo, l’embrione umano per sopravvivere deve impiantarsi nell’utero della madre. La legge del Regno Unito permette di studiare gli embrioni in laboratorio per un massimo di 14 giorni, ma nessuno era mai riuscito a creare condizioni di coltura tali da consentirlo. 
    In due studi paralleli pubblicati su ‘Nature’ e ‘Nature Cell Biology’, due team internazionali spiegano di aver sviluppato una tecnica che permette di mantenere intatti gli embrioni umani al di fuori del corpo della madre per i successivi 6 giorni, fino al tredicesimo giorno di sviluppo. Un lavoro che era già stato eseguito su embrioni di topo, ma ancora mai su quelli umani. Lo studio è stato reso possibile grazie a coppie che si erano sottoposte a cicli di fecondazione in vitro e che hanno deciso di donare gli embrioni sovrannumerari alla ricerca scientifica, una scelta che in Italia è vietata, come recentemente confermato anche dalla Corte costituzionale. 
    Il mancato impianto embrionario nell’utero della donna è una delle principali cause di fallimento delle tecniche di Pma e i cambiamenti cellulari e molecolari che hanno luogo in questa delicatissima fase rimangono sconosciuti. Utilizzando la nuova tecnica, i ricercatori hanno dimostrato che la riorganizzazione unica che avviene in un embrione nello stadio post-impianto può essere raggiunta anche in laboratorio, con le giuste condizioni di coltura. «Questo ricerca – commenta Simon Fishel, presidente del Care Fertility Group – aumenta la comprensione della biologia dell’impianto embrionario e potrebbe dunque contribuire ad aumentare le possibilità di successo della fecondazione in vitro, visto che a oggi solo 1 tentativo su 4 dà luogo a una gravidanza».