logo
    Speciale medicina
    29 Ottobre 2016
    Policitemia per mille italiani l’anno

    Una malattia dalle mille facce, difficile da raccontare per i pazienti. A seconda di come irrompe nella loro vita, c’è chi riferisce dolori, chi stanchezza generalizzata, strane febbri, pesantezza a livello dell’addome. Molti parlano di un prurito talmente fastidioso da stravolgere la quotidianità. E’ la policitemia vera, patologia del sangue poco nota al grande pubblico, dovuta a un’alterazione delle cellule del midollo osseo che porta a una proliferazione incontrollata prevalentemente dei globuli rossi. Sebbene sia difficile identificarne i numeri con precisione, le stime per l’Italia si traducono in «circa 1.000 nuovi casi l’anno», spiega Francesco Passamonti, professore di Ematologia dell’università dell’Insubria di Varese, a Rimini dove si è tenuto il XIV Congresso nazionale della Società italiana di ematologia sperimentale (Sies), nell’ambito del quale un simposio scientifico è stato dedicato proprio alle malattie mieloproliferative croniche. Solo dal 2008 la policitemia vera è stata classificata come tumore cronico «proprio a seguito della scoperta della prima mutazione specifica ricorrente in questa famiglia di malattie che è la mutazione del gene Jak2», spiega Alessandro Maria Vannucchi, professore associato di Ematologia dell’università degli Studi di Firenze. «Dal momento che siamo in grado di fare diagnosi più precoce e che la sopravvivenza dei pazienti si è allungata, la prevalenza della malattia sta aumentando e anche l’età dei pazienti si sta abbassando. Se l’insorgenza è in genere tra i 50 e i 60 anni, oggi vediamo molti malati intorno ai 40 anni e abbiamo anche persone più giovani e rari casi, ben descritti, pediatrici», dice Vannucchi. Un tallone d’achille importante è il rischio trombosi. Circa il 20-30% dei malati che hanno la policitemia possono avere delle trombosi sia arteriose sia venose, eventi che rendono conto di circa il 40% della loro mortalità», fa presente Tiziano Barbui, professore di Ematologia e direttore scientifico della Fondazione per la ricerca ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Specialisti e scienziati si concentrano ora sui bisogni senza risposta.