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    Cultura e Spettacoli
    4 Novembre 2016
    Civitavecchia: c'era una volta la fabbrica di baccalà

    di CARLO CANNA

    CIVITAVECCHIA – Correva l’anno 1929, quando “il Duce”, Benito Mussolini, si recò a Civitavecchia per visitare il porto e la flottiglia peschereccia che riforniva regolarmente dei prodotti del mare un grande stabilimento, adibito alla lavorazione del pesce, destinato a rimanere impresso nella memoria collettiva dei civitavecchiesi con il nome di “fabbrica del baccalà”. Otto anni più tardi, nel 1937, anche S.M. il Re Vittorio Emanuele III, accompagnato dal Principe di Udine, decise di visitare il rinomato opificio di Civitavecchia.  Era il periodo a cavallo tra le due guerre, quello in cui nella città portuale si registra la nascita di una vera e propria “industria della pesca” grazie alle importanti innovazioni tecnologiche e all’emergere di una nuova classe imprenditoriale. E’ l’epoca delle prime grandi imprese pescherecce, con base operativa a Civitavecchia, e delle prime imbarcazioni motorizzate dagli altisonanti nomi “Cefalo” “Tonno”, “Aringa” e “Anguilla” che sfidando le acque di mari lontani rifornivano di pesce i mercati di tutta Italia. Nel 1923, a Civitavecchia, venne persino istituita una Scuola Professionale Marittima, di durata triennale, con la finalità di formare nuove figure professionali emergenti come quelle di “Padrone Marittimo al Comando” e “Motorista”. All’interno di questo felicissimo contesto storico- economico che agli inizi del Novecento consacra il porto di Civitavecchia come primo porto peschereccio a livello nazionale, si inserisce anche l’operosa  attività della cosiddetta “fabbrica del baccalà”. Si trattava di un edificio a più piani, ubicato tra la darsena romana e via Nino Bixio, gestito dalla società a partecipazione francese S.A.I.M. (Società Anonima Italiana Merluzzo), facente capo al Commendator Giuseppe Tisi, fondatore dello storico stabilimento civitavecchiese. Le operazioni di scarico del pesce avvenivano per mezzo di una gru che traportava una grossa cesta direttamente dall’imbarcazione allo stabilimento. Il piano terra era riservato al pesce, in gran parte di taglia grande (generalmente dentici) che qui veniva lavato, pulito, coperto di ghiaccio e messo in cassetta, mentre nei piani superiori, oltre all’inscatolamento in latta del pesce, avveniva la ben più complessa lavorazione (vedi la stagionatura) del merluzzo pescato nelle fredde acque dell’Atlantico settentrionale. In realtà, la S.A.I.M. si riforniva di merluzzo fresco anche presso produttori specializzati ed era titolare di concessioni per la pesca anche in Albania e sulle coste della Mauritania. Il processo di stagionatura si effettuava tramite macchinari che pulivano il pesce dal sale presente ed eliminavano l’eccessiva presenza d’acqua. Successivamente il pesce veniva collocato in telai e trasportato in locali ventilati ad aria calda per essere essiccato artificialmente. Quest’ultima operazione, se la stagione lo consentiva,  poteva concludersi anche esponendo il pesce all’aperto, sul terrazzo dell’edificio. Il prodotto finito, era pronto per essere spedito e venduto sotto diverse forme (baccalà e stoccafisso interi o filetti di baccalà confezionati accuratamente in scatole da mezzo chilo) nei mercati di tutta Italia, e, in particolare, a Civitavecchia, nel mercato coperto di Piazza Regina Margherita. Negli anni in cui dalle trasmissioni radiofoniche riecheggiavano le note di una celebre canzone che recitava “se potessi avere mille lire al mese”, un listino dei prezzi, datato 1940, ci informa che il merluzzo fresco era considerato “specie pregiata” (15 Lire al Kg.), mentre il pesce conservato, fatta eccezione per i prodotti sott’olio, era decisamente più economico. Tra le diverse tipologie di pesce conservato troviamo il baccalà (da 3,70 a 5,40 Lire al Kg.), lo stoccafisso (da 5,50 a circa 7 Lire al Kg.), il tonno (circa 18-21 Lire al Kg.) e gli sgombri sott’olio (14,50 Lire al Kg.). In particolare, tra le varietà di baccalà troviamo il nazionale (tipo Islanda), lo style, il S. Giovanni e il Salinato gran banco, mentre tra quelle di stoccafisso vengono annoverate il Finmarken, l’Italiano e olandese, il Bergen Westre LofoenWestre e il bagnato. Il baccalà rappresenta ancora oggi un piatto “cult” nella cucina tradizionale civitavecchiese e non esiste un Cenone della Vigilia di Natale che si rispetti senza che accanto ad autentiche  prelibatezze come l’anguilla marinata, gli spaghetti con le acciughe, la nociata, il torrone, i biscottini, le ciambellette, la sambuca, ecc… non vi siano anche gli immancabili e deliziosi broccoli e filetti di baccalà fritti. Altre ricette che vedono come ingrediente base la salutare pietanza marinara comprendono il cosiddetto “baccalà uso stocco” (simile al siciliano “Stoccafisso alla ghiotta”), il baccalà in agrodolce e l’insalata di baccalà crudo (una sorta di sushi), “detta a Civitavecchia baccalà spinuzzato”. 
     

    Fonti bibliografiche: C. De Paolis 1998, 2006;  G. Termini e Francesco Castriota 2011