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    Speciale medicina
    2 Dicembre 2017
    Malattie coronariche, un decesso su cinque

    Spezzare il ‘fil rouge’ che collega l’infiammazione alle malattie di cuore: è la nuova via indicata dalla ricerca per cercare di colpire il big killer numero uno «in Europa come negli Stati Uniti, dove un uomo o una donna su 2 ancora oggi muore per patologie cardiovascolari, e un uomo o una donna su 5 muore per malattie coronariche. La prima causa di decesso e di ospedalizzazione resta di gran lunga questa». Ma per contrastarla sul fronte della prevenzione secondaria, rivolta ai pazienti già sopravvissuti a un evento, «servono nuovi approcci perché con quelli seguiti finora abbiamo già ‘grattato il fondo’». Lo spiega Filippo Crea, ordinario di Cardiologia all’università Cattolica di Roma e direttore del Polo di Scienze cardiovascolari e toraciche della Fondazione Policlinico universitario Gemelli della Capitale. Parlando all’AdnKronos Salute in occasione del convegno ‘Armonizzare la ricerca e la pratica clinica per migliorare la prevenzione delle malattie cardiovascolari’, lo specialista ha ripercorso la storia del legame fra malattie cardiovascolari e infiammazione. Un cammino che parte da lontano e che 23 anni fa lo ha visto protagonista della scena mondiale insieme al suo gruppo. «Per primi, nel 1994 – ricorda – abbiamo dimostrato che almeno in alcuni pazienti le sindromi coronariche acute sono associate a un improvviso aumento della proteina C-reattiva», ‘spia’ di infiammazione fra le più note, e che «quando questo si verifica la prognosi è peggiore». Se è vero cioè che «l’infiammazione – precisa Crea – è collegata allo sviluppo dell’aterosclerosi fin dalle sue prime fasi», perché sono gli stessi fattori di rischio cardiovascolari a richiamare in loco «le cellule infiammatorie coinvolte nella placca aterosclerotica fin dall’esordio», l’infiammazione può anche fare la differenza tra la vita e la morte. In particolare fra una placca aterosclerotica che resterà per sempre stabile, dunque silente, e una che invece diventerà instabile fino a scatenare la formazione di un trombo e provocare ad esempio un infarto.