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    Speciale medicina
    23 Ottobre 2019
    Immunoterapia musa per l’arte

    C’è Alice che dipinge l’abbraccio immaginario fra un malato di cancro e un nuovo sé, “uguale ma a tratti diverso”, perché il tumore lo ha cambiato per sempre senza però riuscire a ucciderlo. E c’è Sogol che per fotografare il rapporto con il male sceglie un abito da sposa, perché oggi anche il cancro può diventare “un compagno di vita”, capace di infonderti “il superpotere di vederla come altri non riescono”. Due immagini forti ispirate dall’immunoterapia, “rivoluzione” e “svolta storica” per chi la studia o la usa, “musa” per gli studenti dell’Istituto europeo di design (Ied) autori delle opere protagoniste della mostra itinerante ‘Immunoterapia oncologica: tra visione, realtà e prospettive future’. Promossa da Roche e realizzata in collaborazione con Ied e con l’associazione pazienti Walce Onlus, l’esposizione debutta a Milano (Ied, via Sciesa 4) e farà tappa nei prossimi mesi nelle principali città italiane a partire da Napoli (novembre, Istituto nazionale tumori Irccs ‘Fondazione G. Pascale’) e Bari (dicembre, Istituto tumori). Consulenti scientifici dei giovani artisti ricercatori e clinici d’eccezione, volti della medicina italiana noti a livello internazionale, che la storia dell’immunoterapia anticancro l’hanno scritta di persona. Sono Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e docente dell’Humanitas University alle porte di Milano; Michele Maio, ordinario di Oncologia medica all’università degli Studi di Siena, direttore del Centro di Immuno-oncologia e del reparto di Immunoterapia oncologica del Policlinico Santa Maria alle Scotte; Silvia Novello, ordinario di Oncologia medica all’università degli Studi di Torino – Dipartimento di oncologia, responsabile di Oncologia polmonare all’azienda ospedaliero-universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano e presidente di Walce. Con loro la psico-oncologa dell’associazione Maria Vittoria Pacchiana Parravicini, che ha aiutato gli alunni Ied a interpretare il vissuto dei pazienti. “E’ stata una sfida alla quale i ragazzi hanno risposto con entusiasmo e sensibilità”, afferma Serena Sala, sociologa e docente Ied. “Per prima cosa abbiamo voluto allontanarci dall’idea di battaglia” come immagine simbolo della relazione con il cancro, concetto che “evoca scenari distruttivi non adatti ai tempi che stiamo vivendo” e ai progressi nel trattamento dei tumori. “Abbiamo preferito trasmettere un’idea di leggerezza – spiega – di una terapia che arriva dritta all’obiettivo e va solo dove deve andare”. Infine “volevamo che la protagonista non fosse la malattia, bensì la persona che si ammala”. Uomini e donne che “il cancro cambia nel corpo, nell’anima e nell’idea del tempo. Portando a riprogrammare il proprio futuro, ma anche a rileggere il proprio passato”.

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