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    Speciale medicina
    14 Maggio 2020
    Con la pandemia passate in secondo piano le patologie reumatiche
    «Dimenticati i malati cronici»

    Il dolore cronico reumatico può essere dovuto ad artrite reumatoide, Lupus, sclerosi sistemica, osteoporosi, vasculiti. E sono solo alcune delle oltre 150 malattie reumatiche che interessano soprattutto le donne, anche in età giovanile. In Italia ne soffrono 5 milioni di persone, il 10% della popolazione. Queste patologie – secondo la Società italiana di Reumatologia (Sir) – colpiscono a tutte le età, bambini compresi. Sbagliato dunque confondere le patologie reumatologiche come esclusive della terza età, anche se gli anziani pagano un prezzo elevato in termini epidemiologici. Malati fragili, cronici, spesso in labile equilibrio clinico, troppo a lungo dimenticati a causa del Covid-19. Negli ospedali i reparti di Reumatologia non sono più attivi perché destinati alla Medicina interna e alle Terapie intensive. Risultato? Questi pazienti con dolore cronico reumatico sono stati lasciati soli. “Non c’è dubbio – dice Luigi Sinigaglia, presidente nazionale della Sir – che l’emergenza della pandemia ha messo in secondo piano l’assistenza per un esercito di pazienti affetti da malattie croniche, che in Italia rappresentano il 70% della spesa pubblica sanitaria (solo per le tre principali patologie reumatiche, ovvero artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondilite anchilosante si spendono ogni anno 4 miliardi di euro): pazienti reumatologici ma anche migliaia di persone con patologie croniche che richiedono assistenza, monitoraggio e nuovi interventi terapeutici. In questo modo molti pazienti con dolore cronico reumatico sono stati lasciati soli senza più la possibilità di confrontarsi con il loro specialista per le problematiche relative alla malattia di base”. “I malati reumatici, in questo momento – conferma Antonino Mazzone, specialista in Medicina interna, ematologia e immunologia all’ospedale di Legnano – temono di essere più esposti all’infezione a causa del loro stato di immunodepressione e di veder venir meno la continuità assistenziale legata anche alla paura non solo della sospensione delle attività cliniche ma anche della carenza dei farmaci”.