Oltre a Covid-19 c’è un’altra emergenza sanitaria sulla quale non si può più perdere tempo: quella delle cure per 16 milioni di italiani afflitti da dolore cronico non oncologico. Artrite reumatoide, lombalgia, mal di schiena, ernia del disco, cefalea, nevralgie del trigemino, artrosi sono solo alcune delle patologie che causano dolore cronico benigno e che, durante la pandemia da Sars-CoV-2, non sono mai andate in vacanza. Di questi pazienti si parla poco. Eppure negli ultimi due mesi sono stati costretti ad aspettare cure, interventi, controlli di routine rimandati perché da marzo sono state sospese in tutta Italia le attività ambulatoriali, riabilitative e di ricovero non urgenti al fine di ridurre l’accesso in ospedali e ambulatori, quindi il rischio di contagio da Covid-19. “Ma il dolore cronico non oncologico deve essere trattato nel tempo e non con ‘interventi spot’ – mette in guardia Diego Fornasari, professore di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano – La cronicizzazione del dolore non è semplicemente un fatto cronologico, cioè un dolore nato come acuto e che dura per più di tre mesi. La cronicizzazione implica che qualcosa non ha funzionato nella risoluzione, spesso perché non si è rimossa la causa, talvolta perché il dolore è diventato autonomo rispetto alla causa che lo ha generato. Il dolore è in grado di modificare le vie nocicettive su cui ‘viaggia’ perché le strutture nervose sono plastiche, si modificano in risposta agli stimoli esterni. Questa plasticità, detta maladattativa, rende più sensibili le vie nocicettive e il dolore sempre meno trattabile. Per tale motivo il dolore cronico deve essere trattato tutti i giorni, non solo quando diventa insopportabile, eventualmente a cicli, per evitare la plasticità maladattativa”. Dunque, mai interrompere le terapie.
Speciale medicina
4 Giugno 2020
Servono cure per 16 milioni di italiani con dolore cronico
Dal mal di schiena all’artrite: non solo Covid