Don Ivan Leto*
Il capitolo 3 del quarto Vangelo narra la conversazione che Nicodemo e Gesù ebbero a Gerusalemme. Nicodemo è un notabile giudeo, un fariseo che ammira Gesù. Egli si avvicina alla soglia della fede, ma non la attraversa, la sua situazione glielo impedisce. Vuole essere coerente con sé stesso, ma anche con i suoi. Va a vedere Gesù, ma di notte. La lettura di questa domenica riporta la seconda metà di questa conversazione. Nicodemo non interviene più con domande. Si sente solo la voce di Gesù in uno splendido monologo sulla salvezza e la responsabilità della fede (Gv 3, 14-21). Da un lato si trovano il “mondo” che non crede ed è condannato, le “tenebre”, “le opere cattive”, quelli che “fanno il male” e “detestano la luce”. Dall’altro, il “mondo” che crede ed è salvato, la “luce”, le “opere realizzate secondo Dio”, quelli che “cercano la verità” e “si avvicinano alla luce”.
L’umanità intera si organizza intorno a queste due posizioni, dice Gesù nel suo dialogo notturno con Nicodemo. Cristo è il criterio decisivo e determinante, ma è anche il segno vivo dell’amore del padre, che tanto amò il mondo da mandare il suo unico Figlio e vuole che il mondo si salvi per mezzo di lui. L’autore presenta la storia come un processo giudiziario: Cristo (la verità, il bene, la luce) e l’imputato principale contro il quale si scagliano le forze del male e le tenebre. La croce appare come il sigillo definitivo di questo processo: Cristo è elevato sulla croce come un condannato. Tuttavia, tale elevazione e ciò che innesca il processo di ribaltamento: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 14-15). Così, dalla croce nasce l’umanità totalmente centrata in Cristo. Bisogna nascere dall’alto.
*Don Ivan Leto
Parroco di San Gordiano
Diocesi Civitavecchia – Tarquinia