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    Energia e ambiente
    25 Giugno 2021
    Uccelli e tartarughe marine intrappolate nelle protezioni gettate via, e aumenta il consumo di prodotti imballati
    Mascherine e plastica: il Covid frena la lotta all’inquinamento

    Il biennio 2020-2021 doveva segnare la svolta nella lotta ai rifiuti di plastica ma il Covid ha riacceso la sfida: 7 miliardi di mascherine vengono usate ogni giorno. La sola Ue ne consuma circa 900 milioni al giorno. Circa 2.700 tonnellate quelle che finiscono tra i rifiuti (o disperse in natura). Peraltro, essendo costituite da plastica composita e potenzialmente infette, non possono essere avviate al recupero e riciclo. I n acqua, le mascherine tendono a galleggiare, ma ne esistono di più pesanti, che affondano o restano sospese a tutte le profondità. Sono stati già osservati pesci, tartarughe, mammiferi marini e uccelli che le hanno ingerite intere o sono rimasti vittime degli elastici. La mascherina, inoltre, dopo poche settimane di permanenza nell’ambiente si frammenta in microfibre, che possono accumulare e rilasciare sostanze chimiche tossiche e microrganismi patogeni. Ciò che si è dimostrato necessario per la salvaguardia della nostra salute ha un caro prezzo per l’ambiente. Se la sfida per fermare l’inquinamento da plastica non era facile prima del Covid, lo è ancora di meno ora. A lanciare l’allarme, a oltre un anno dall’inizio della pandemia, è il Wwf nel suo ultimo paper “La lotta al Covid frena quella all’inquinamento da plastica”. Non solo mascherine. Il Covid spinge anche i consumi di plastica come effetto dei cambiamenti nelle abitudini di acquisto: se pre-pandemia si stimava intorno al 40-45% il consumo di prodotti confezionati rispetto allo sfuso, con la pandemia si è arrivati al 60%. Il 46% delle persone che prima prediligeva lo sfuso è tornata ad acquistare prodotti imballati. Questo si spiega soprattutto con la cosiddetta “safe attitude”, cioè il ritenere più sicuri da contaminazioni i prodotti confezionati: i consumatori si sono trovati di fronte al dilemma tra sicurezza e ambiente, sebbene ad oggi non sia stato segnalato alcun caso di trasmissione del virus attraverso il consumo di alimenti. Esistono invece studi che dimostrano come il Sars-CoV-2 sopravviva più di tutti sulla plastica (7 giorni), sebbene non sia dimostrata la trasmissione dell’infezione da imballaggi contaminati. I lockdown hanno stimolato anche gli acquisti online e con essi gli imballaggi plastici dei prodotti e i servizi di consegna di cibo, aumentati in media del 56%. Il monouso (spesso in plastica) è stato adottato anche per tutti i bar e ristoranti obbligati al take away. A favorire una maggiore produzione di plastica è entrato in gioco anche il drastico calo del prezzo del petrolio, vittima di una domanda globale in picchiata, che ha reso meno vantaggioso riciclare materiali plastici.