Il voto unanime con cui il comitato di gestione ha approvato il bilancio di previsione 2022 dell’Adsp è un successo che vale doppio per il presidente dell’Authority Pino Musolino e il segretario generale Paolo Risso. Anche rispetto all’approvazione del bilancio 2021, incassata dopo che lo stesso era stato bocciato insieme all’allora inquilino di Molo Vespucci Francesco Maria Di Majo.
Il risultato ottenuto dal presidente veneziano ha una duplice valenza, per come è stato ottenuto. Intanto, in dieci mesi, l’attuale gestione dell’ente ha dovuto (riuscendoci) recuperare circa 14 milioni di euro di disavanzo, eredità del Covid, ma anche – a vario titolo – di errori o spese del passato messe in conto di chi sarebbe venuto dopo, quando i tempi ed i contesti erano diversi.
Secondo: Musolino è riuscito, con misure drastiche, che sicuramente in questo momento non ne hanno certo aumentato la popolarità nell’ente e nello scalo, a riequilibrare i conti senza un solo centesimo dallo Stato per la parte corrente.
Questo significa una apertura di credito nei confronti di tutta la politica, che oggi si affanna a cercare l’imprimatur sul prossimo arrivo dei ristori per salvare il Porto di Roma, che erano stati promessi a tutti i livelli fin dal 2020 ma che al momento dell’approvazione del bilancio non sono arrivati, costringendo Musolino e Risso a mettere nuovamente le mani in tasca ai dipendenti. Stavolta per una manovra che va addirittura a revocare un accordo integrativo che vigeva da oltre 10 anni. Una roba mai vista prima e che dimostra come a Civitavecchia sia arrivato un manager che, mettendoci la faccia, non ha paura di prendere le decisioni necessarie. In questo caso a mettere in sicurezza i conti di quello che fino a pochi anni fa era considerato l’ente più ricco e potente del territorio. E che un anno fa era tecnicamente in default. Applicando alla lettera il motto di Draghi, Musolino ha fatto “what ever it takes” per salvare l’ente dal concreto rischio di un commissariamento dagli effetti nefasti.
Stringendo un patto d’onore con i dipendenti, sulle cui spalle si è riversato oltre la metà del peso dei correttivi al bilancio per riassorbire l’ulteriore disavanzo di quasi 4 milioni: in caso di arrivo dei ristori, l’applicazione delle misure per il personale slitterà al 2023 e ci sarà un anno di tempo per rinegoziare un nuovo accordo.
Finisce dunque anche il mito (in larga parte frutto di strumentalizzazioni) dell’eldorado di Molo Vespucci dove – a fronte di un contratto collettivo nazionale sicuramente molto ben retribuito e di un accordo decentrato molto ben articolato – in realtà a far lievitare i numeri da sempre nel “mirino” della Corte dei Conti e del Mef è in primo luogo la struttura della pianta organica (approvata dal ministero vigilante, così come i bilanci) che prevede un numero importante di figure apicali, tra dirigenti e funzionari, che spostano in alto la media della retribuzione dei 107 dipendenti dell’ente. Nelle condizioni attuali, nemmeno Taillerand avrebbe potuto fare di meglio, spiegando anche la necessità
, comunque, di un riequilibrio strutturale delle entrate e delle uscite di un porto che oggi paga il prezzo di non aver saputo programmare a suo tempo una diversificazione dei traffici commerciali. L’altro dogma tutto civitavecchiese che appare ormai destinato a venire meno è quello delle banchine tutte pubbliche: la strategia di Musolino è chiara. Attrarre e “creare” terminalisti per aumentare traffici, entrate da canoni e ridurre le spese dei servizi generali per le aree pubbliche dello scalo.
Nei prossimi dieci giorni, con la conversione in legge del Dl Trasporti si sbloccheranno i sospirati ristori e Musolino potrà cominciare veramente a costruire il rilancio, dopo 300 giorni giocati in difesa a mettere toppe e tagliare tutto il possibile, avendo però acquisito la credibilità di chi sa mediare, ma anche, e soprattutto, decidere.
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Rassegna stampa dal quotidiano LA PROVINCIA del 28 ottobre 2021