ETTORE SALADINI
CIVITAVECCHIA – Una fonte energetica rinnovabile tra le più potenti e con il vantaggio di essere prevedile e poco variabile. È il mare, la più grande fonte rinnovabile inutilizzata al mondo che vanta una densità energetica estremamente elevata, alta prevedibilità e bassa variabilità. Qualche dato per capire la potenza di questa fonte: le onde marine hanno una densità energetica media cinque volte superiore a quella del vento e fino a 10-20 volte superiore a quella del sole; si stima che le onde possano sviluppare una potenza, lungo le coste terrestri a livello globale, pari a 2 TeraWatt, circa 18mila miliardi di chilowattora all’anno, ovvero quasi il fabbisogno annuale di energia elettrica del pianeta. Insomma, nell’ambito della strategia di decarbonizzazione, queste caratteristiche la rendono una promettente fonte di energia per il futuro. ISWEC (Inertial Sea Wave Energy Converter), sviluppato da Eni con Wave for Energy S.r.l., spin-off del Politecnico di Torino, è il sistema in grado convertire l’energia delle onde marine in energia elettrica, rendendola immediatamente disponibile per impianti off-shore o immettendola nella rete elettrica per dare corrente a comunità costiere. Si adatta alle differenti condizioni del mare così da garantire un’elevata continuità nella produzione energetica e può integrare energia dalle onde, sistema fotovoltaico e stoccaggio energetico. Come funziona. L’azione meccanica delle onde marine induce un movimento oscillante dello scafo; grazie alla presenza di un sistema di tipo inerziale, non vincolato alla struttura all’interno del galleggiante, si sviluppa un moto relativo che consente la conversione di energia meccanica in elettrica. Nello sviluppo di ISWEC, il supercomputer di Eni, Hpc5, gioca un ruolo fondamentale: attraverso modelli matematici avanzati, consente di combinare informazioni sulle condizioni meteomarine con quelle sul comportamento di ISWEC e di disegnare diversi modelli in funzione delle specifiche condizioni locali. “Le interazioni di calcolo sono tantissime, con un unico processore ci vorrebbero molti anni per risolvere questo problema. Averci messo a disposizione l’Hpc-5 accorcia i tempi di sviluppo e quindi anche il time to market per andare a disporre le macchine in mare”, spiega Giuliana Mattiazzo, vice rettore per il trasferimento tecnologico del Politecnico di Torino.