Avevamo più volte scritto che la crisi economica dovuta alla pandemia si sarebbe fatta sentire dall’inizio di quest’anno e purtroppo siamo stati facili profeti. In cauda venenum, dicevano i latini: il veleno , il peggio è nella coda. Ma non bisogna essere analisti del Wall Street Journal per capire che, una volta tolto il “tappo” del blocco dei licenziamenti e terminati gli ammortizzatori sociali del Covid, ci si sarebbe trovati di fronte a scenari drammatici dal punto di vista occupazionale.
Oggi i nodi stanno venendo al pettine in porto. Il caso di Port Mobility rischia essere solo il primo di una lunga serie. Certamente è il primo perché l’azienda ha deciso di non utilizzare la cassa integrazione ordinaria e di procedere da subito con un piano di ristrutturazione molto rigido, ma che rischia di essere solo l’inizio, viste le prospettive future per i parcheggi interni al porto e per la terminalizzazione di diverse banchine, soprattutto delle autostrade del mare, oggi pubbliche. E’ evidente che la perdita di 26 posti di lavoro non può essere accettata in silenzio, al di là di chi siano i lavoratori licenziati e di quale azienda facciano parte.
E’ altrettanto evidente che il modello di sistema portuale con il quale da vent’anni funziona il porto di Civitavecchia è destinato a finire molto presto. La pandemia ha fatto emergere tutti i suoi limiti, che per certi versi finora erano stati la sua stessa forza e peculiarità. In un altro contesto, per far fronte alla crisi di una “Sieg” (Società di interesse economico generale) come Port Mobility sarebbe intervenuta l’Autorità Portuale. Lo stesso sistema che aveva portato quell’ azienda ad avere 130 dipendenti, ne avrebbe dovuto garantire la tenuta anche oggi. Allo stato attuale, invece, tutto questo non è più possibile: la stessa AdSP nel 2021 si è salvata dal default soltanto grazie ai ristori e si è visto chiaramente che senza una diversificazione con traffici merci sviluppati, oltre a crociere e autostrade del mare, nel caso – sicuramente speriamo del tutto eccezionale – di una drastica riduzione dei passeggeri il sistema portuale non sta in piedi.
D’altronde, la prevista creazione di nuovi terminal privati che andranno progressivamente a sostituire la gran parte delle banchine oggi pubbliche, ridimensionerà ulteriormente i servizi di interesse generale. L’applicazione – anticipata e dovuta a sua volta dai problemi di bilancio dell’Authority – del principio del “chi usa paga” per remunerare la concessionaria Port Mobility, ha fatto il resto. Dopo due anni chiusi in forte perdita è comprensibile che l’azienda voglia e debba ristrutturarsi. Anche perché il 2022 sarà un altro anno in rosso (le crociere, checché ne dica qualcuno, riprenderanno veramente rebus sic stantibus nel 2023) e per di più probabilmente senza ristori dello Stato.
Gli scioperi, sacrosanto diritto dei lavoratori, non servono. Se non forse addirittura a mettere in discussione il ruolo stesso dell’azienda. Le improvvisate cabine di regia, o gli improvvidi tentativi di “influenza politica” neppure. L’unica strada percorribile è quella del buon senso e dell’equilibrio. Offrendo garanzie che non possono essere finanziarie, ma devono essere basate sulla vision del porto dell’immediato futuro. Nella consapevolezza che peraltro il capitolo Port Mobility è solo il primo di un libro non certo dei sogni, ma degli incubi che si stanno concretizzando tutti insieme ora, dopo anni allegri prima e devastati dal virus poi.
La sfida di oggi è proprio questa: essere autorevoli e credibili, offrendo prospettive reali e concrete a breve e medio termine, mentre intanto parta una economia per Civitavecchia finora sconosciuta. Se non è la sfida del secolo poco ci manca. Per vincerla servono al tavolo protagonisti che possano fidarsi reciprocamente l’uno dell’altro e che sappiano dove dirigere il timone contemperando legittimi interessi imprenditoriali con quelli generali.
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Rassegna stampa dal quotidiano LA PROVINCIA del 20 febbraio 2022