(Adnkronos) – Dal Neuro Covid agli stili di vita utili a proteggere il cervello sempre più ‘sotto attacco’, fino alle politiche di riduzione del danno ormai consolidate nel settore delle dipendenze, ma che si stanno facendo strada in molti altri campi tra cui quello ambientale e il tabagismo. Sono i temi protagonisti del convegno congiunto ‘Mohre X Neuromed’, che mette a confronto gli esperti in neurologia e neuroscienze dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) e il board scientifico del Mohre, l’Osservatorio mediterraneo per la riduzione del rischio in medicina.
“Di fronte alle minacce ambientali, alle predisposizioni genetiche e al decadimento fisiologico dato dalla maggiore longevità, è necessario proteggere il cervello dalle minacce che aprono la porta alle malattie neurodegenerative e alla cronicità che pesa per l’81% dei costi del Servizio sanitario nazionale. La longevità ha un senso solo se gli anni guadagnati sono vissuti in salute. Siamo grati al Neuromed per aver raccolto la nostra proposta a discutere il futuro del cervello in maniera trasversale”, dichiara Johann Rossi Mason, direttore editoriale del Mohre. “Le malattie degenerative cerebrali non sono un destino ineluttabile – afferma Giovanni de Gaetano, presidente Neuromed – Possiamo fare molto per invecchiare con una mente lucida, a partire da stili di vita corretti, iniziati da giovani, ma proseguiti da adulti e anche nelle età più avanzate. L’ideale è avere una vita biologica del cervello più sana e longeva della vita cronologica. Un challenge impegnativo, al quale stiamo dedicando qui a Neuromed nuovi programmi di ricerca”.
Primo argomento al centro dei lavori il Long Covid, la sindrome post-infezione da Sars-CoV-2 che interessa il 75% dei pazienti che sono stati ricoverati per Covid-19. Tra i sintomi riscontrati anche quelli neurologici e cognitivi, insieme ad ansia e depressione, che possono perdurare fino a un anno anche nei giovani. Un recente studio, che ha incluso 90mila over 65 anni guariti dal Covid – si legge in una nota dal convegno – ha riscontrato sintomi a lungo termine debilitanti nel 32% dei casi, tanto da suggerire di considerare il Long Covid una ‘sindrome geriatrica’. Ad avvalorare la teoria uno studio firmato Fenstein Institutes for Medical Research, che ha rilevato un 13% di nuove diagnosi di demenza entro un anno dal ricovero per Sars-CoV-2. Ancora, in un lavoro pubblicato su ‘Frontiers Aging Neuroscience’, dei 181 partecipanti il 78% ha dichiarato di avere difficoltà di concentrazione, il 69% ha riferito ‘nebbia cerebrale’, il 68% dimenticanze e il 60% ha lamentato problemi nel trovare la parola giusta mentre parla.
Sotto la lente degli esperti anche fattori ambientali in grado di impattare sul patrimonio genetico, stili di vita e comportamenti individuali. “Possiamo fare molto per difenderci – assicura Giuseppe Novelli, ordinario di genetica all’università di Roma Tor Vergata – Ad esempio puntare su istruzione e interessi per costruire una buona riserva cognitiva, un tesoretto di neuroni e connessioni che ha mostrato di proteggere in parte anche dalla manifestazione di sintomi di Alzheimer e Parkinson. Non è mai troppo tardi per iniziare a coltivare un interesse o mettersi a studiare. Un cervello ‘istruito’ infatti è protetto più a lungo dal declino: così come spiegato dal ‘Journal of Neuroscience’, le regioni prefrontali stimolate dall’istruzione prolungata accendono alcuni geni coinvolti sia nella trasmissione dei segnali che nella difesa immunitaria. Si tratta di un magnifico esempio di come funziona l’epigenetica, ossia il ‘vestito’ che indossano i geni, che può quindi essere cambiato o modificato dall’ambiente”.
“Nel caso del tabacco – sottolinea Fabio Beatrice, direttore del board scientifico di Mohre – le strategie di riduzione del danno sono un intervento di salute pubblica potenzialmente salvavita per 1,1 miliardi di fumatori nel mondo, supportate dai principi di diritto internazionale in tema di diritti umani. E’ ovvio che non esiste un fumo sano e che l’ideale sarebbe non iniziare a fumare o a bere alcolici specie in giovane età, ma per gli adulti nei quali la dipendenza è consolidata è necessario fornire una soluzione percorribile. La nicotina è quindi sia il problema che la soluzione, ma esiste un diritto alla salute che non deve essere ostacolato da pregiudizi o posizioni preconcette”.
Due studi molto recenti – si segnala nella nota – hanno indicato che la sostituzione completa delle sigarette a combustione con le elettroniche porterebbe a milioni di vite risparmiate. In particolare, il passaggio al fumo alternativo entro il 2040 potrebbe salvare 2,52 milioni di vite e 26 milioni di anni di vita persi, solo prendendo in considerazione l’impatto del fumo sulle principali quattro malattie fumo-correlate: cancro del polmone, broncopneumopatia cronica ostruttiva, cardiopatia ischemica e ictus.
Un recente documento raccomanda poi che la riduzione del danno da tabacco sia promossa come una questione di diritti alla salute da parte delle organizzazioni di difesa che rappresentano i consumatori di nicotina. Secondo l’ultima pubblicazione lanciata da Knowledge, Action, Change (K·A·C), che promuove la riduzione del danno come strategia chiave per la salute pubblica fondata sui diritti umani, la riduzione del danno da tabacco non è solo un intervento di salute pubblica potenzialmente salvavita per 1,1 miliardi di fumatori nel mondo, ma è anche supportata dal diritto internazionale sui diritti umani. Il documento raccomanda che la riduzione del danno da tabacco sia promossa come una questione di diritti alla salute anche per coloro che fanno uso di nicotina.