(Adnkronos) – la legge prevede per i datori di lavoro l’obbligo di garantire ai dipendenti una visita medica effettuata da un medico competente, nell’ambito della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Per il lavoratore è un diritto ma, in alcuni casi, anche un dovere, in particolare quando l’attività che svolge comporta dei rischi particolari si legge su laleggepertutti.it. Quindi, per il rifiuto della visita medica al lavoro, cosa si rischia?
Esistono due tipi di visita medica aziendale:
quella preventiva o preassuntiva, che serve ad accertare l’idoneità del futuro dipendente alle mansioni che gli verranno affidate e ad escludere eventuali controindicazioni per la sua salute. Viene fatta, quindi, prima dell’assunzione o nei giorni immediatamente successivi;
quella periodica, che si svolge solitamente una volta all’anno per tenere monitorate le condizioni di salute del lavoratore. A seconda dell’attività, la periodicità del controllo sanitario in azienda può essere più frequente.
La visita può essere effettuata anche:
su richiesta del lavoratore;
al cambio di mansione;
al termine del rapporto di lavoro;
prima della ripresa del lavoro, dopo un’assenza di più di 60 giorni continuativi.
La visita medica si svolge durante l’orario di lavoro ed è sempre retribuita. Vediamo cosa rischia il dipendente se la rifiuta.
Visita medica aziendale: in che cosa consiste?
Quando il dipendente viene convocato dal datore o dall’ufficio del personale per effettuare la visita medica, il lavoratore dovrà recarsi nel locale individuato all’interno dell’azienda a tale scopo o, in alcuni casi, nello studio o nell’ambulatorio medico convenzionati.
Il medico competente svolge un controllo generale delle condizioni di salute del lavoratore, esaminando i parametri principali (pressione, battito cardiaco, ecc.). In base all’attività svolta, potrà effettuare anche altri controlli più specifici, come ad esempio:
l’elettrocardiogramma;
la spirometria, per valutare la capacità polmonare del soggetto;
l’esame audiometrico;
la valutazione del rachide e della spalla;
il test visivo;
gli esami di sangue e urine.
Sempre a seconda delle mansioni assegnate al lavoratore, possono essere richiesti dei test tossicologici su alcol e droghe.
Il medico competente, alla fine della visita, riporterà i suoi giudizi nella cartella cinica del dipendente. Potrà decidere:
l’idoneità totale allo svolgimento delle mansioni assegnate;
l’idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni e limitazioni;
l’inidoneità temporanea;
l’inidoneità permanente.
Il medico competente dovrà consegnare copia dell’esito della visita sia al datore di lavoro sia al lavoratore. Questo perché, oltre a mettere al corrente il dipendente sulle sue condizioni di salute rispetto alle mansioni che svolge, il lavoratore ha diritto a presentare ricorso all’Asl entro 30 giorni contro il parere del medico, se lo ritenesse opportuno. Cosa che, ovviamente, non potrebbe fare se quelle informazioni gli venissero negate. L’Asl può confermare il giudizio del medico aziendale, revocarlo, modificarlo dopo avere disposto ulteriori accertamenti.
Visita medica aziendale: quando è obbligatoria?
Il datore di lavoro (anche se ha un solo dipendente) è obbligato a sottoporre il lavoratore alla visita medica quando in azienda vengono svolte delle particolari mansioni che comportano dei rischi per la salute. In particolare, l’obbligo sussiste quando il dipendente è esposto a:
agenti chimici pericolosi;
rischi legati allo spostamento di carichi pesanti;
apparecchiature munite di videoterminali;
agenti cancerogeni o agenti biologici;
amianto;
raggi X, sostanze radioattive, radiazioni ottiche artificiali, radiazioni infrarosse o ultraviolette;
particolari livelli di rumore;
vibrazioni.
La visita medica è anche obbligatoria quando il lavoratore:
riceve un cambio di mansione all’interno dell’azienda;
rientra a lavoro dopo un’assenza durata per più di 60 giorni per malattia;
è stato esposto a rischio chimico e c’è stata la cessazione del rapporto lavorativo.
Cosa rischia il lavoratore che rifiuta la visita medica?
Il dipendente che viene convocato per sottoporsi a un controllo sanitario aziendale e rifiuta la visita medica rischia di non poter svolgere le mansioni che gli sono state assegnate, poiché non ci sono gli elementi per stabilire la sua idoneità psicofisica a tale attività.
Non solo: se il controllo risponde alla necessità di un cambio di mansioni (e, quindi, si rende obbligatorio), davanti ad un secondo rifiuto il lavoratore può essere licenziato. Lo ha stabilito la Cassazione in una recente ordinanza. Secondo la Suprema Corte, infatti, un atteggiamento del genere «non è assolutamente giustificabile» nemmeno quando il dipendente declina l’invito del datore per il timore di essere demansionato.
La Cassazione, infatti, ricorda – come detto in precedenza – l’obbligo in capo al datore di sottoporre il lavoratore alla visita medica e di adeguare le mansioni del dipendente alle capacità e alle condizioni di salute di quest’ultimo. Inoltre – insistono gli Ermellini – il lavoratore ha il diritto di presentare ricorso contro la decisione del medico competente sull’idoneità a svolgere determinate mansioni.
Pertanto, conclude l’ordinanza, nulla può giustificare il rifiuto della visita medica da parte del dipendente, mentre risulta legittimo il suo licenziamento nel caso in cui tale condotta persistesse.