(Adnkronos) – “Albert Camus ci invitava a pensare che Sisifo dovesse essere felice nel sollevare ogni giorno quello stesso masso destinato l’indomani a rotolare inesorabilmente a valle. Così oggi si può immaginare che Meloni debba essere felice anche lei, alla prese con la fatica e i rischi dell’azione di governo che di qui a poco si troverà a caricarsi in spalla come un glorioso e oneroso fardello. Felice, ma anche consapevole. E forse -si spera- anche preoccupata. Ella infatti ha ricevuto dagli elettori un chiaro e forte mandato a guidare il paese. Ma quel mandato sembra rivolgersi a due Meloni in luogo di una. Chiedendo alla prima di fare certe cose e di essere una certa persona. E alla seconda di farne altre, tutt’altre, finendo col diventare lei stessa, prima o poi, un’altra persona.
Metà del paese immagina infatti di trovarsi alle prese con una sorta di Evita Melòn (il copyright non è mio). E cioè una donna, e una leader, indomita, appassionata, estrema. Combattiva, orgogliosamente immoderata e forse un po’ smisurata. Un’icona della protesta che resta tale anche quando indossa panni di governo. Insomma, non proprio la madre dei ‘descamisados’ argentini ma quasi.
L’altra metà confida invece nelle virtù della governabilità, e dunque si aspetta che prima o poi Meloni indossi l’abito della fatina di Draghi. In questo caso la funzione dovrebbe sviluppare l’organo, e le tribolazioni di Palazzo Chigi dovrebbero indurre la futura premier a fare propri tutti quegli argomenti di cui la campagna elettorale solitamente sconsiglia di abusare. La stabilità, la prudenza, il gradualismo, i conti in ordine, un certo riguardo verso l’opposizione, le buone maniere con Bruxelles e via elencando e aggiungendo.
E’ ovvio che Meloni non sarà né l’una né l’altra delle caricature di sé che le vengono prospettate. O almeno, non fino a quel punto limite. Ma è altrettanto ovvio che la sua strada sarà lastricata da molti bivi. E che almeno due di questi bivi saranno cruciali per definire l’identità del suo governo. Il primo riguarda l’Europa, il secondo riguarda le istituzioni.
Fin qui, la Meloni è stata atlantista al modo dell’America ed europeista a modo suo. Ha solidarizzato con l’eccezione di Orban e ha faticato con la regola franco-tedesca. Ha annunciato che la ‘pacchia’ (chissà quale, poi) stava per finire. Ha predicato il nazionalismo in dosi a volte troppo massicce. Insomma, si è presentata al tavolo dell’Europa che conta con credenziali non delle migliori. Ora può proseguire su questa rotta o magari correggerla. Cosa che l’interesse nazionale fortemente suggerisce, anche a prezzo della popolarità tra i suoi stessi tifosi.
Quanto alle istituzioni di casa nostra, s’intende che Meloni ha tutto il diritto di cercare di ridisegnarle. A un patto, però. Di non fare le cose da sola, ma di coinvolgere l’opposizione in un progetto condiviso di riordino dello Stato. E qui già si annuncia un altro bivio. Dato che la destra (non tutta) coltiva il disegno del presidenzialismo e la sinistra (non tutta) lo avversa fortemente. Cosa che rende piuttosto ardua quell’intesa tra tutti che dovrebbe essere propiziata dall’afflato di uno spirito costituente di cui in tutti questi anni non si sono certo avvertite avvisaglie così promettenti.
Staremo a vedere. Per ora la leader di FdI si è mossa in modo accorto e appropriato, come ad invocare l’indulgenza dei cittadini che forse sono stanchi di incoronare sovrani per cominciare a detronizzarli il giorno dopo. Ma proprio alla luce di questi precedenti farebbe bene a mettere subito le sue carte in tavola e a darsi una ‘agenda’ (l’ennesima) che chiarisca i dilemmi che la interrogano. Stando un po’ nelle piazze, ma non troppo. E un po’ nei palazzi. E soprattutto cercando di dire le stesse cose, lì e qui.
Se lo farà è probabile che finirà per scoprire che non tutta la sua maggioranza le è così propizia, né tutta l’opposizione le è così pregiudizialmente avversa. Ma sciogliere il suo stesso enigma è l’unica cosa che dipende interamente da lei”. (di Marco Follini)