(Adnkronos) – Il premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2022 va al biologo svedese Svante Pääbo “per le sue scoperte sui genomi degli ominidi estinti e l’evoluzione umana”. L’annuncio è stato dato come da tradizione al Karolinska Institutet di Stoccolma in Svezia, e trasmesso in diretta via Internet e social network. Il riconoscimento anche per quest’anno è pari a 10 milioni di corone svedesi, al cambio odierno circa 917mila euro.
Pääbo ha realizzato una missione all’apparenza impossibile: sequenziare il genoma del Neanderthal, un parente estinto degli esseri umani di oggi. Non solo. Lo scienziato è anche autore di una sensazionale rivelazione, spiega l’Assemblea del Nobel al Karolinska Institutet di Stoccolma, che gli ha assegnato il premio: ha scoperto un ominide precedentemente sconosciuto, Denisova. Pääbo è il papà della paleogenomica, ha dato origine a una disciplina scientifica completamente nuova e guardando dentro al codice della vita dei nostri antenati più remoti ha finito per raccontare all’uomo da dove veniamo.
E’ la storia di un lungo viaggio. Perché all’origine di tutto c’è proprio una migrazione. Pääbo ha capito che il trasferimento genico era avvenuto da questi ominidi ora estinti all’Homo sapiens in seguito alla migrazione dall’Africa circa 70mila anni fa. Questo antico flusso di geni agli esseri umani di oggi ha rilevanza fisiologica nella contemporaneità, influenzando ad esempio il modo in cui il nostro sistema immunitario reagisce alle infezioni. E proprio le sue scoperte, che rivelano le differenze genetiche che distinguono tutti gli esseri umani viventi dagli ominidi estinti, forniscono la base per esplorare ciò che ci rende unicamente umani.
Da dove veniamo? E’ la domanda che tormenta l’uomo da sempre. La ricerca ha fornito prove che l’uomo anatomicamente moderno, Homo sapiens, è apparso per la prima volta in Africa circa 300.000 anni fa, mentre i nostri parenti più stretti conosciuti, i Neanderthal, si sono sviluppati al di fuori dell’Africa e hanno popolato l’Europa e l’Asia occidentale da circa 400.000 anni fino a 30.000 anni fa. A quel punto si estinsero. Circa 70mila anni fa, gruppi di Homo sapiens migrarono dall’Africa al Medio Oriente e, da lì, si diffusero nel resto del mondo.
L’Homo sapiens e i Neanderthal quindi coesistettero in gran parte dell’Eurasia per decine di migliaia di anni. Ma cosa sappiamo della nostra relazione con gli estinti Neanderthal? Gli indizi potrebbero essere derivati ​​da informazioni genomiche. Ma per averli si sarebbe dovuto sequenziare il Dna recuperato da campioni arcaici: la missione impossibile di Svante. All’inizio della sua carriera, lo scienziato rimase affascinato dalla possibilità di utilizzare metodi genetici moderni per studiare il Dna dei Neanderthal. Ma le sfide tecniche da affrontare erano estreme, perché con il tempo il Dna si modifica chimicamente e si degrada in brevi frammenti. Dopo migliaia di anni, sono rimaste solo tracce e ciò che rimane è massicciamente contaminato dal Dna di batteri e umani contemporanei.
Allora il giovane Pääbo, studente post-dottorato con Allan Wilson, pioniere nel campo della biologia evolutiva, iniziò sviluppare metodi per studiare il Dna dei Neanderthal. L’impresa durò diversi decenni. Nel 1990, Pääbo viene reclutato all’università di Monaco, dove continua il suo lavoro sul Dna arcaico e decide di analizzare il Dna mitocondriale di Neanderthal, quello degli organelli presenti nelle cellule è un genoma piccolo e contiene solo una frazione dell’informazione genetica nella cellula, ma è presente in migliaia di copie, aumentando le possibilità di successo. Con metodi raffinati, Pääbo riesce a sequenziare una regione di Dna mitocondriale da un pezzo di osso di 40.000 anni. E’ la chiave che apre lo scrigno delle informazioni sugli antenati. E’ così che per la prima volta si è riusciti ad accedere a una sequenza genetica di un ‘parente estinto’. E i confronti con umani e scimpanzé contemporanei hanno dimostrato che i Neanderthal erano geneticamente distinti.