(Adnkronos) – “Una delle storie più oscure, più coinvolgenti, più spaventose ma anche da un certo punto di vista più istruttive sul lato oscuro della natura umana”. Così Pino Corrias descrive all’Adnkronos ‘Le tre vite di Donato Bilancia’, il docufilm sul terribile serial killer che dal 15 ottobre 1997 al 20 aprile 1998 ha ucciso 17 persone, che andrà in onda domani in prima serata su Rai2 per Rai Documentari, presentato in anteprima al ‘Prix Italia’ di Bari. Un doc realizzato dallo stesso Corrias e da Renato Pezzini, che indaga su una storia che “secondo noi era stata poco raccontata”, dice Corrias. “Lui viene ricordato come il killer dei treni, ma in realtà ha commesso solo due omicidi sui treni, gli altri li ha commessi altrove: ben 17 omicidi in sei mesi non li aveva commessi nessuno”, gli fa eco Pezzini.
Perché le ‘tre vite’? “Perché tre ne abbiamo trovate – dice Corrias – la prima è quella del giocatore d’azzardo e ladro, la seconda è quella dello sterminatore, perché uno che ammazza nove uomini e otto donne in sei mesi è uno sterminatore. La sua terza vita l’abbiamo scoperta indagando sui 22 anni che ha passato in carcere e che nessuno aveva mai raccontato perché la storia di Bilancia si conclude con un anno di processo, dove lui non compare mai, e con i tredici ergastoli. Nel doc si ascolta per la prima volta la sua confessione, “interamente registrata dai carabinieri, che va in onda in aula nel processo e che non ha mai sentito nessuno prima. Noi invece la utilizziamo molto nel doc perché riteniamo sia molto forte”.
“Lui dice ‘io sono un pazzo, un pazzo lucido’ – spiega Pezzini – perché nel processo tenta di giocare la carta della follia, convinto che questo possa generare una revisione del processo, una perizia psichiatrica. Ma poi abbandona anche questa strada”. In realtà Bilancia è stato esaminato da ben 13 psichiatri, e “tutti hanno escluso l’incapacità di intendere e di volere. Tutti hanno parlato di un mistero – sottolinea Corrias – di un ingranaggio che si rompe nella sua testa, ma non c’è stato mai un momento in cui lui abbia agito senza la volontà di agire. Le 17 persone le ha uccise per vendetta, per rancore contro il mondo: lui è uno che si sente isolato. Soprattutto le donne le ha uccise per disprezzo: aveva problemi di impotenza sessuale, ma in realtà è una vicenda di vita cresciuta storta che determina il suo comportamento. La cosa più convincente ce la dice il magistrato e ce la dirà anche uno degli psichiatri italiani intervistato, ossia che lui prova piacere nel controllo della vita e della morte delle persone che ha davanti e le uccide per sentirsi onnipotente e padrone della vita degli altri”.
“Nella vicenda di Bilancia – osserva Pezzini – non c’è in realtà una dimensione psichiatrica molto forte. Le prime due vittime le uccide per vendetta, perché si è sentito truffato da persone che reputava amiche. E’ molto sotto con i soldi, ha sempre fatto una vita molto agiata e in quattro o cinque mesi perde al gioco 400/500 milioni di lire che anche per uno che ha molti soldi come lui è una cifra importante. Quindi inizia ad uccidere per vendetta, ma poi dà il via alla sequenza di diciassette omicidi che non ha un senso se non quello della ricerca di un piacere che evidentemente non prova neanche così tanto, perché continua a replicare questa cosa come i tossici che sono sempre alla ricerca dell’emozione del primo buco”.
“Inoltre – aggiunge Corrias – a differenza del classico serial killer della letteratura criminale, che si accanisce sui corpi in vari modi, Bilancia li uccide e va via senza provare alcun rimorso. Quando lo racconta, la storia è sempre la stessa, di una monotonia assoluta. Per fortuna gli investigatori lo prendono e interrompono questa catena che lui avrebbe potuto continuare virtualmente all’infinito”. Sia Corrias che Pezzini sono convinti che “raccontare questa storia oggi serva a raccontare qualcosa di molto inquietante sulla natura degli uomini, perché quello che ci dirà il magistrato e anche i carabinieri e gli psichiatri è che alla fine tutti potenzialmente nascondiamo quel ‘click’ che ha mosso bilancia. Se pensiamo ai ragazzi che vanno in guerra, che magari prima erano dei ragazzi tranquilli e che nel giro di uno o due mesi si trasformano nei peggiori sadici. A uccidere si impara. Se allenti quei freni inibitori che ti impediscono di farlo, moralmente ed eticamente, allora si spalanca l’abisso. La storia di Bilancia ci dice qual è la nostra parte peggiore. In questo senso è sempre istruttiva, perché in queste storie criminali spesso ci si immedesima: se ne ha paura, si dice ‘io non sono così'”.
La terza vita di Bilancia, infine, è quella degli ultimi anni e della svolta mistica: “Quello che ci ha stupito – dice Pezzini – è che quando ha preso il Covid non si è voluto curare. Alla fine lui è stato preso dal rimorso, quello che non ha mai provato in 22 anni. E allestisce il suo funerale, del quale abbiamo trovato le immagini che chiudono il documentario. C’è la sua bara al centro della chiesa del carcere, circondata da 17 sedie con altrettanti nomi che sono quelli delle sue vittime, con un giglio su ogni sedia. Lui, sollecitato dal diacono del carcere, ha accettato di fare questa cerimonia come forma di ‘risarcimento’ nei confronti delle vittime che invece nel corso degli interrogatori trattava con un distacco e una noncuranza impressionanti”. “Nel finire della sua vita riaffiorano i fantasmi del passato che si traducono in una crisi mistica evidente nelle lettere che scrive al priore della comunità di Bosa. Lui prega e distribuisce la sua piccola pensione di invalidità tra un bimbo orfano e una donna siciliana madre di tre bambini. Lei sta male e Bilancia prega chiedendo di morire lui al posto di lei. Diventa una specie di uomo ‘perbene’ e questo accende una piccola luce in questa storia nera”, conclude Corrias.