(Adnkronos) – Come raccontare al mondo l’olio di palma sostenibile. Questo il tema al centro del webinar organizzato dall’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso dall’Asvis, dal titolo ‘Olio di palma e Sdgs: il ruolo della certificazione e della comunicazione’.
“I temi della certificazione e della comunicazione sono due temi cruciali perché sono i due pillar che sostengono la possibile diffusione dell’olio di palma sostenibile: bisogna evidenziare come la sostenibilità certificata sia garanzia concreta di quanto dichiarato – spiega Mauro Fontana, presidente Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile introducendo il dibattito – Solo rassicurando cittadini e le istituzioni della reale capacità dell’olio di palma sostenibile di non essere attore della deforestazione riusciremo a far sì che il meccanismo di incremento di questa quantità di olio di palma sostenibile che oggi nel mondo rappresenta il 19% dell’olio totale di palma possa incrementare fino alla totalità”.
Francesca Morgante, Sr Manager, Europe (Market Transformation) Roundtable on Sustainable Palm Oil-Rspo, fotografa il mercato dell’olio di palma sostenibile. “Il 45% dell’olio di palma sostenibile viene consumato in Europa – spiega – quindi l’Europa in questi anni ha svolto un ruolo di front runner nell’avanzamento di una filiera sostenibile chiedendo ai suoi fornitori di adeguarsi a standard di certificazione come quelli di Rspo. Sia in Europa che nel resto del mondo le domande di utilizzo di licenza del marchio di Rspo sono raddoppiate nel giro di un anno, le aziende richiedono a Rspo di utilizzare il marchio e lo possono fare sia con la comunicazione corporate sia per comunicazioni di prodotto. L’Italia si è sempre posizionata molto bene nell’utilizzo del marchio e oggi è il quinto paese al mondo e il terzo in Europa per numero di aziende associate a Rspo, sono oltre 230 le realtà produttive italiane che hanno aderito alla nostra organizzazione”.
Guendalina Graffigna, Phd professore ordinario, direttore di EngageMinds Hub – Università Cattolica del Sacro Cuore, illustra i risultati di una ricerca condotta su un campione di 1200 italiani e che fotografa i comportamenti di consumo. “Abbiamo un dato che ci ha sorpreso: il 54% del campione ha risposto di aver sentito parlare di olio di palma sostenibile; penso sia un dato un po’ sproporzionato, secondo noi è più un aver orecchiato e talvolta confuso etichette e temi che una reale conoscenza”, osserva. Ma quali sono gli atteggiamenti rispetto all’olio di palma sostenibile? “Prevale un atteggiamento positivo perché oltre un 30% del campione ritiene che i prodotti con olio di palma sostenibile debbano essere più rispettosi dell’ambiente, ci stupisce un 23% di consumatori che ritengono che i prodotti con olio di palma sostenibile siano una truffa”; questo atteggiamento “diventa ancora più marcato tra i rispondenti che riportano una spiccata mentalità complottista”.
E’ stata sviluppata anche una “profilazione psicologia dei consumatori più orientati all’acquisto di un prodotto da forno con olio di palma sostenibile: le variabili che diventano predittive dell’intenzione di acquisto sono l’orientamento all’innovazione e la competenza di discriminazione delle fake news. Il tratto del complottismo è predittivo al contrario e il reddito è un orientatore al reverse. Sono soprattutto le variabili psicologiche a predire l’intenzione all’acquisto che non le variabili socio-demografiche classiche. Quindi i consumatori potenziali sono gli innovatori consapevoli, coloro che hanno un reddito più basso ma dal punto di vista psicologico sono predisposti alla sperimentazione e all’innovazione alimentare, sono capaci di riconoscere le fake news alimentari e hanno un minore atteggiamento complottista”.
Secondo Tiziana Toto, responsabile Politiche del consumatore Cittadinanzattiva, da parte del consumatore “sicuramente rispetto al passato c’è maggiore consapevolezza e sensibilità verso alcune tematiche e quindi maggior discernimento nel momento in cui si tratta di compiere una scelta di consumo che sia maggiormente responsabile e sostenibile. Non è così per tutti ed è vero che le leve principali di questi cambiamenti sono le classi più giovani, sono loro i vettori dell’innovazione e del cambiamento”. Come si riconosce un prodotto sostenibile? “Le strade dovrebbero essere molteplici: una comunicazione più approfondita, una formazione a partire dalle scuole in termini di corretta nutrizione e di politica ambientale e il coinvolgimento della società civile. Se il consumatore è convinto e fa delle scelte consapevoli può orientare il mercato verso una maggiore sostenibilità”, conclude.