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    Cronaca
    18 Ottobre 2022
    Inchiesta sull’imprenditore Quartieri: respinto il ricorso della Procura di Civitavecchia. Illegittimo il sequestro di Pc e telefoni

    SANTA MARINELLA – Novità sull’inchiesta della Procura della Repubblica di Civitavecchia che il 21 marzo sequestrò documenti, telefoni cellulari, Pc, agende elettroniche e documenti ad uno degli imprenditori più conosciuti della zona, “Fabio Quartieri”, proprietario del famoso ristorante “Isola del Pescatore” di Santa Severa e dell’altrettanto noto albergo “Pino al Mare”.

    Secondo gli investigatori della Procura di Civitavecchia, l’imprenditore Quartieri, aveva deciso di cambiare destinazione d’uso all’albergo ristorante “Pino al Mare” e trasformarlo in un residence di lusso.Appartamenti esclusivi a poche decine di metri dal mare, con tanto di stabilimento balneare privato annesso.

    Con lui, nell’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Savelli, tre figure politiche ed un amministrativo in servizio presso l’ufficio tecnico urbanistico del Comune di Santa Marinella.Salomone, dipendente della Multiservizi Santa Marinella, distaccato all’ufficio urbanistico (poi rimosso dal sindaco) oltre ad Andrea Bianchi (vicesindaco poi dimissionario) e i consiglieri comunali Fabrizio Fronti e Roberto Angeletti.La Procura della Repubblica di Civitavecchia aveva provveduto, dopo il sequestro probatorio di tutto il materiale informatico, a conferire l’incarico ad un perito chiamato a ricostruire tutte le informazioni contenute negli hard disk dei computer e nelle memorie dei telefonini sequestrati dai Carabinieri.

    A quel decreto il Tribunale di Roma, chiamato dalla difesa dell’indagato Quartieri in sede di Riesame, confermava parzialmente il decreto del 18 marzo 2022 con il quale il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Civitavecchia aveva disposto il sequestro probatorio di documentazione amministrativa presso il comune di Santa Marinella nonché di agende, appunti e altri dispositivi elettronici appartenenti o nella disponibilità di Andrea Bianchi, Fabrizio Fronti, Roberto Angeletti, Giuseppe Salomone e Fabio Quartieri, sottoposti ad indagini in relazione al reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio.

    I primi tre nella veste di consiglieri comunali e impiegati del comune di Santa Marinella, il quarto adoperandosi in seno all’ufficio ‘urbanistica’ di quella stessa amministrazione municipale, compiuto atti contrari ai doveri di ufficio per favorire il Quartieri, in cambio di offerte di denaro e di altre regalie.In particolare, il Tribunale del riesame riteneva come sussistesse il fumus commissi delicti necessario per l’adozione di quel mezzo di ricerca della prova e come fosse giustificata, nell’ottica delle indagini, l’apprensione della documentazione afferente le pratiche amministrative relative alle imprese e alle attività commerciali del Quartieri; e come, invece, nel provvedimento genetico della misura difettasse l’indicazione delle ragioni per le quali le investigazioni avevano reso necessario il sequestro di tutti gli apparecchi informatici appartenenti al predetto indagato ovvero del relativo contenuto, di cui era stata ordinanza una apprensione generalizzata e indiscriminata: apparecchi dei quali il Tribunale disponeva, perciò, il dissequestro e la restituzione all’interessato.

    Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia, il quale ha dedotto la violazione di legge per avere il Tribunale di Roma erroneamente omesso di considerare che nella informativa di reato, richiamata nel decreto con cui erano state disposte le perquisizioni e i sequestri nei riguardi dei cinque indagati, era stato precisato che il Quartieri aveva formulato offerte di denaro ai pubblici funzionari mediante messaggi via ‘WhatsApp’, il che era sufficiente a giustificare — nell’ottica del rispetto del principio di proporzione che deve caratterizzare tutte le misure reali — l’iniziativa di apprensione dei “dispositivi elettronici documentanti l’elargizione di (quelle) utilità a pubblici ufficiali”.

    Il Tribunale di Roma ha adeguatamente chiarito come nel provvedimento di sequestro probatorio fosse assente una specifica spiegazione della correlazione tra il disposto mezzo di ricerca della prova e le finalità investigative che si intendevano perseguire, dunque in ordine all’indispensabile collegamento che deve essere rappresentato circa la natura dei beni da vincolare e la loro relazione con tale ipotesi criminosa. Né tale lacuna motivazionale poteva dirsi colmata dal mero richiamo, contenuto in quel decreto genetico della misura, alla informativa di reato redatta dalla polizia giudiziaria operante, trattandosi di riferimento dal tenore indeterminato ad un atto che non era stato neppure allegato al provvedimento da eseguire.Il Tribunale del riesame ha ritenuto quindi illegittimo il sequestro a fini probatori di dispositivi elettronici che conduca, in difetto di specifiche ragioni, alla indiscriminata apprensione di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e comunque senza l’indicazione degli eventuali criteri di selezione.

    La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso e ritenuto eccessiva l’azione di intrusione invasiva nei dati personali degli indagati.