Il “Mondo Lazio” piange la scomparsa di Vincenzo D’Amico, eroe dello scudetto di Maestrelli e capitano/bandiera nei difficili anni ‘80
ROMA – La morte di Vincenzo D’Amico ha lasciato un enorme vuoto tra la gente laziale. Molti ricordano Vincenzino per essere stato uno degli eroi della leggendaria Lazio di Tommaso Maestrelli. Quella Lazio che, dopo la promozione dalla serie B, fu capace di sfiorare lo scudetto da neopromossa (sfumato all’ultima giornata a causa della sconfitta di Napoli), per poi conquistarlo nella stagione 73/74.
Per i laziali veri c’è molto altro. D’Amico è stato anche il capitano/bandiera nei difficili anni ’80. Le stagioni delle retrocessioni, della serie C sfiorata, delle penalizzazioni, degli scandali scommesse, della crisi societaria e del rischio fallimento.
Una storia completamente diversa dalla leggendaria Lazio dipinta magistralmente nel libro “Pistole e Palloni” di Guy Chiappaventi. Come in “Le canaglie” di Angelo Carotenuto e in “C’era un ragazzo che come me…. amava la Lazio e Long John” di Giudo De Angelis.
La Lazio che D’Amico ha ereditato dopo la scomparsa di Maestrelli, la fuga di Chinaglia negli States, e la tragica morte di Luciano Re Cecconi, era tutt’altra cosa. Mentre dall’altra parte del Tevere si lottava per vincere il campionato (e si disputavano finali di Coppa Campioni), i biancocelesti si tenevano a galla tra mediocri campionati di serie B e buchi finanziari mostruosi.
Proprio in quegli anni è venuta fuori la “Lazialità” di Vincenzo D’Amico. Fino ad allora croce e delizia del popolo biancoceleste. Delizia perché le sue indiscusse qualità tecniche hanno fatto impazzire di gioia i tifosi. Croce per la sua discontinuità e per la consapevolezza che il numero 10 della Lazio ha espresso soltanto una parte del suo talento.
Maurizio Sarri ha recentemente dichiarato: “La Lazio è strana, da fuori non ti rendi conto, da dentro la lazialità invece ti invade”. D’Amico dentro la Lazio c’era, e nei momenti di difficoltà è stato capace di esprimere al massimo il senso di appartenenza al mondo biancoceleste.
Nella tragica stagione del calcioscommesse del 1980 la Lazio, privata di quattro titolari coinvolti nello scandalo, riuscì a salvarsi sul campo piazzandosi al 13° posto in classifica. D’Amico, indossata la fascia di capitano, diventò il punto di riferimento di una squadra che nella fase finale della stagione era composta prevalentemente da giovani del vivaio. Rimase epica la decisiva vittoria sul Catanzaro, resa possibile grazie ad una maiuscola prestazione del n. 10 biancoceleste. L’impresa fu poi vanificata dalla sentenza del giudice sportivo che condannò la Lazio alla retrocessione in serie B.
Nel giugno 1980 D’Amico venne ceduto dalla Lazio, contro la volontà dello stesso giocatore. Unica stagione in cui Vincenzino non ha indossato la maglia biancoceleste. Giocò nel Torino. La Lazio in quella stagione mancò per un soffio l’immediato ritorno in serie A a causa di un rigore fallito da Chiodi all’ultimo minuto dell’ultima partita giocata in casa. I tifosi laziali sono sicuri: D’Amico non lo avrebbe sbagliato.
Un anno lontano dalla Lazio non ha intaccato la “Lazialità” di Vincenzino che chiese subito di tornare nella capitale. Dopo qualche anno, gli dissero: “Ti rendi conto che ti sei impuntato per andartene via dal Torino che in quel momento era una grande squadra per ritornare alla Lazio che colava a picco?”. La sua risposta fu eloquente: “Si, perché io nella vita non volevo fare il calciatore… Io volevo fare il calciatore della Lazio e basta!”.
Il suo ritorno a Roma coincise con una delle stagioni più travagliate della storia biancoceleste (seconda solo alla stagione dei -9). Al 20’ della penultima giornata di campionato la Lazio era praticamente in serie C. Sotto di due gol nella gara casalinga contro il Varese.
Sandro Petrucci, noto giornalista sportivo della Rai, grande tifoso della Lazio, sosteneva l’esistenza di uno “stellone laziale” che, nei momenti di estrema difficoltà, interveniva sempre, a protezione della società biancoceleste. Lo “stellone laziale” nella gara contro il Varese non è stato solo, aiutato in campo da un grande D’Amico che è riuscito a trascinare la Lazio alla rimonta e alla salvezza.
Il suo gioco era fantasia, imprevedibilità, leggerezza. Anche ribellione. Maestrelli per lui è stato un padre: lo capiva, ne tratteneva gli impeti, ne addolciva e indirizzava la sua arte. D’Amico era così, prendere o lasciare. Lo aveva capito perfino Chinaglia anche se, in un’occasione, rifilò un bel calcione nel sedere al giovanissimo Vincenzino. In quella leggendaria Lazio c’era spazio anche per questo: in un Inter Lazio Mazzola tolse il pallone dai piedi di D’Amico per poi ritrovarsi contro Chinaglia che venne beffato dallo stesso Mazzola con un tunnel. Risultato? Chinaglia rifilò un calcio nel sedere al compagno di squadra D’Amico quasi a volerlo colpevolizzare per la figuraccia.
La Lazio di mister Sarri si appresta ad iniziare la nuova stagione dopo aver raggiunto il secondo posto nell’ultimo campionato. Piazzamento che gli ha garantito la partecipazione alla prossima Champions League (ovvero la Coppa Campioni). Quella Coppa che Vincenzo D’Amico, da Campione d’Italia, non ha potuto disputare a causa di una folle notte vissuta allo stadio Olimpico il 7 novembre 1973. Gli incidenti nella gara disputata contro gli inglesi dell’Ipswich Town hanno portato alla squalifica della Lazio dalle competizioni europee. Per i laziali, però, la tripletta contro il Varese vale molto più di una Coppa Campioni.
D. B.