VITERBO – E se da una parte c’è una porzione di provincia di Viterbo che vuole separarsi e divenire indipendente, formando la cosiddetta “Provincia del litorale”, dall’altra c’è un gruppo che invece chiede di annettere il Viterbese alla Toscana, ripristinando quel che un tempo era l’Etruria.
Il gruppo, che su Facebook prende il semplice nome di “Viterbo annessa alla Toscana“, sta già facendo parlare di sé. La volontà, quella di ripristinare l’antica provincia, sarebbe sancita dall’articolo 132 della Costituzione italiana, secondo il quale la variazione territoriale degli enti locali può consentire di adeguare il perimetro territoriale alle esigenze ed alle volontà della popolazione, tra le quali l’aspirazione ad un miglior uso delle risorse ed una miglior presenza delle strutture burocratiche.
Un’operazione più semplice a dirsi che a farsi, ma che porterebbe indubbiamente grandi vantaggi per la Tuscia, oggi da tutti nota come “succursale” di Roma e vittima dei suoi capricci (fra tutti, ricordiamo il trasferimento dei rifiuti romani nel Viterbese).
Anche se il tutto potrebbe sembrare uno scherzo, il sedicente comitato sembra fare sul serio, almeno sulla carta.
“Il presente comitato – spiegano dal gruppo – composto da viterbesi e da Toscani, si prefigge di indire nei prossimi anni un referendum per l’annessione della Provincia di Viterbo (oppure singolarmente dei 60 dei comuni che volessero). Una ipotesi peregrina? No, con questa operazione Viterbo si inserirebbe nel contesto di una Regione ricca quale la Toscana, che ha un residuo fiscale di quasi 8 miliardi – non milioni – di euro e che ha un brand conosciuto in tutto il mondo. Quali i benefici per i viterbesi? Prima di tutto essere annessi al pezzo d’Italia che funziona, che produce, che macina PIL: Essere, poi, annessi ad una regione che tutto sommato funziona, con un solide finanze, riunire finalmente la Maremma sotto un’unica bandiera, godere -come detto- del marchio TOSCANA conosciuto in tutto il mondo”.
Sicuramente, non parole al vento, bensì poste accuratamente l’una dietro all’altra, suscitando un notevole interesse da parte della popolazione viterbese.
“Sotto Roma – proseguono dal comitato – Viterbo vive in contumacia ottenendo le briciole dal turismo capitolino che tratta tutti gli altri laziali come dei pezzenti o, peggio, dei burini. Pensiamo alla Macchina di Santa Rosa inserita nel poker d’assi che solo la Toscana può offrire: Lucca, Pisa, Firenze, Siena …. e Viterbo. Qualcuno questionerà sulla problematica linguistica visto che è evidente che a Viterbo non si parla toscano (anche se a Bagnoregio è presente la celeberrima gorgia toscana), ma i confini sono più sfumati: lo stesso romanesco di città è frutto della toscanizzazione del vernacolo dell’Urbe tanto che alcuni linguisti lo considerano come un sottotipo di dialetto toscano. Inoltre c’è da sottolineare che sotto l’Albegna (già parlate tosco-romanesche) si vanno progressivamente toscanizzando per l’influsso del toscano e dall’amministrazione toscana (il toscano è percepito da’ parlanti come più prestigioso). E’ probabile, anzi auspicabile, che accada il medesimo con Viterbo, ovviamente nel corso degli anni e dei decenni”.
La questione linguistica, oltretutto, sarebbe davvero l’ultimo dei problemi, in quanto il dialetto viterbese, nel bene e nel male si è trasformato nel corso dei decenni a una semplice calata, conosciuta da sempre meno persone.
“Ora – concludono – ci dichiariamo candidamente: vogliamo Viterbo riunita nella regione Etrusca (Toscana), che si torni finalmente all’antico Ducato di Tuscia longobardo, prima, e franco poi”.
Sia come sia, molto di quanto sopraccitato potrebbe effettivamente dar da pensare agli amministratori viterbesi, in particolare a quelli che siedono sugli scranni della Provincia. Se i “secessionisti” del litorale riuscissero davvero nel loro intento, allora per Viterbo non esisterebbero molte altre strade se non quelle che potrebbero avvicinare l’area restante a un’altra Regione. La Toscana in questo caso, ma anche l’Umbria, come altri avevano già vociferato tempo addietro quando si parlava di modificare le province e rendere Roma città metropolitana a tutti gli effetti.
D.G.