Confedelizia: “Sintomo di disagio, esentarli dall’Imu”
ROMA, 24 AGO – In dodici anni i ruderi e gli immobili fatiscenti sono aumentati del 123% di 342mila unità: se nel 2011 erano “solo” 278mila, oggi superano quota 620mila.
La provincia di Frosinone è quella col numero più alto di case in rovina: ce ne sono quasi 32mila, circa sei volte di più dei ruderi presenti nella vicina e ben più popolosa provincia di Roma.
A fare i conti è Confedilizia che sottolinea come i dati – nei quali vengono contate tutte le case che hanno perso la loro capacità reddituale perchè obsolete, diroccate, oppure con il tetto crollato, parzialmente demolite o con un alto stato di degrado – disegnano una “mappa del disagio economico, sociale e demografico” dell’Italia.
Per questo la confederazione immobiliare chiede di esentare dall’Imu i piccoli comuni sotto i 3.000 abitanti interessati dal fenomeno, che costerebbe 800 milioni di euro, o almeno applicare un’esenzione totale – ora è solo al 50% – per questa tipologia di case, che peserebbe solo per 50 milioni.
Dal check up realizzato da Confedilizia del problema non sono esenti anche le grandi città, nelle quali il dato delle case diroccate, e comunque non produttrici di reddito, è in aumento.
Proprio a Roma nel 2011 ce ne erano 459, oggi sono 1.820, il quadruplo. La Capitale su questa classifica negativa batte di quattro volte Milano, che ha visto un incremento basso passando in 12 anni da 280 a 366 immobili fatiscenti. Crescita significativa anche a Napoli, passata in dodici anni da 225 a 707 immobili fatiscenti, una quota comunque inferiore a 3.810 di Palermo.
Le 620 mila case fatiscenti presenti in Italia sono concentrate soprattutto nelle aree più rurali e marginali dell’Italia. Se a guidare la classifica è la provincia di Frosinone, nel cosentino e nel messinese se ne contano rispettivamente 22.974 e 18.537. Sono moltissime se si fa il confronto con la provincia di Milano, molto più popolosa, che ne registra solo 1.764.
Inutile sottolineare che se, invece, analizzassimo i dati sulle abitazioni civili più diffuse, quelle di categoria A/2, troveremmo posizioni invertite, in provincia di Roma ce ne sono 1 milione e 129mila, quasi dieci volte in più che nel frusinate, 128.948.
Dopo le province di Frosinone, Cosenza e Messina, ai primi posti vi sono anche quelle di Torino, Cuneo, Foggia, Reggio Calabria, Lecce e Benevento, dove ruderi e immobili fatiscenti sono, in ognuna di esse, tra i 14mila e i 16mila. Si tratta quindi di zone del Mezzogiorno e di aree della regione del Nord in cui la montagna ha sofferto il maggiore declino economico e demografico, il Piemonte.
Tuttavia l’elemento più indicativo è probabilmente la crescita nel tempo di questi immobili. Il confronto è con il 2011, ovvero prima dell’introduzione dell’Imu, imposta che ha inciso significativamente nell’innalzamento di questi dati. Se le abitazioni, cioè gli immobili di categoria A, tra il 2011 e il 2023 sono aumentate solo del 6,5%, da 33 milioni e 429 mila a 35 milioni e 593 mila, nel caso dei ruderi l’incremento è stato di ben il 123%. Dodici anni fa, infatti, erano solo 278.121.
Il loro numero è salito soprattutto in alcune province in cui nel 2011 tali immobili erano ancora pochissimi, come Ferrara, dove sono aumentati di ben il 361,7%. Poi gli incrementi maggiori sono quelli delle province di Agrigento, Avellino, Foggia e Mantova. In tutti questi casi c’è stata quasi una quadruplicazione del numero.
Sopra la media gli aumenti anche nella Città metropolitana di Napoli, +199,5% e in quella di Roma, +185,2%. Questi numeri mostrano infatti chiaramente che, nonostante, come si è visto, ruderi e case diroccate siano più diffuse in provincia e nelle aree rurali, di recente hanno cominciato a essere più comuni di prima anche nelle metropoli.
“E’ un aumento davanti al quale non si può rimanere ciechi” afferma Confedilizia, secondo la quale grandissima maggioranza dei ruderi, l’88,7%, appartiene a persone fisiche: “si tratta quasi solo di case, magari appartenute a genitori o nonni e che poi sono passate a eredi ormai trasferitisi altrove”. Questa situazione caratterizza un numero crescente di altre abitazioni che sono a rischio di totale abbandono, spesso già inagibili e inabitabili, ma ancora non categorizzate come unità collabenti al catasto, e su cui, quindi, si paga l’Imu a differenza di quelle collabenti che, ricordiamo, sono esentati dal pagamento dell’imposta.
“È facile capire – propone allora Confedilizia – come, soprattutto in alcune aree, sia un problema sociale, è per questo che chiediamo alcune misure poco costose, come, per esempio l’esenzione totale dall’Imu degli immobili situati in comuni sotto i 3mila abitanti, quelli più colpiti dal fenomeno.
Costerebbe solo 800 milioni di euro, ma sarebbe un segnale importante per chi vive nelle zone più interessate dal problema.
Circa 50 milioni, molto meno, sarebbero necessari per esentare completamente dal pagamento della medesima imposta i proprietari degli immobili inagibili e inabitabili già citati, che oggi hanno solo una riduzione del 50% della base imponibile. Quello proveniente da questa tipologia di case, del resto, è un gettito a scadenza, il destino di queste abitazioni, che tali non sono più, è di diventare unità collabenti”.
Frosinone, Cosenza e Messina sono le province con i dati più alti a livello assoluto.Gli incrementi maggiori dal 2011 si sono verificati nel ferrarese (+362%). Poi gli aumenti maggiori sono stati quelli delle province di Agrigento, Avellino, Foggia e Mantova. In tutti questi casi c’è stata quasi una quadruplicazione del numero di case fatiscenti.