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    Cronaca
    7 Gennaio 2025
    Ladispoli e Cerveteri non dimenticano Marco Vannini: la nuova vita di Martina Ciontoli riaccende il dibattito

    La fidanzata del bagnino ucciso con un colpo di pistola nel 2015 ha ottenuto il permesso di lavoro per buona condotta e tutte le mattine esce dal carcere per fare la cameriera ad un bar di Roma

    LADISPOLI – A distanza di quasi dieci anni dalla tragica notte tra il 17 e il 18 maggio 2015, il ricordo di Marco Vannini è ancora vivido a Ladispoli.

    Il giovane bagnino di Cerveteri perse la vita a soli vent’anni, ferito da un colpo di pistola esploso nella villetta della famiglia della sua fidanzata, Martina Ciontoli. Quella notte, un intervento tempestivo avrebbe potuto salvarlo, ma le omissioni e le bugie dei presenti – Martina, il fratello Federico, la madre Maria Pezzillo e il padre Antonio Ciontoli – ritardarono fatalmente i soccorsi.

    Marco, agonizzante e steso a terra, fu lasciato morire, mentre Martina, come stabilito dai giudici, non fece nulla per salvarlo. Per le comunità di Ladispoli e Cerveteri, per la famiglia Vannini, quella notte rimane una ferita aperta, un simbolo di giustizia negata e di una perdita che non trova pace.

    Antonio Ciontoli al suo arrivo in aula per l’udienza finale e la sentenza della Corte d’Assise d’Appello

    Martina Ciontoli e il permesso di lavoro

    Oggi, la notizia che Martina Ciontoli, condannata a 9 anni e 4 mesi per concorso in omicidio, ha ottenuto il permesso di lasciare il carcere di Rebibbia per lavorare all’esterno, ha riacceso il dibattito.

    Dopo aver scontato un terzo della pena comportandosi come una detenuta modello, la giovane, che oggi ha quasi trent’anni, è stata giudicata idonea a beneficiare di un percorso rieducativo previsto dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario.

    Ogni giorno feriale, Martina lascia la sezione femminile “Orchidea” del carcere per lavorare nel bar interno alla Scuola Superiore per l’Educazione Penale “Piersanti Mattarella”, un ambiente protetto e lontano dal contatto con il pubblico.

    Il provvedimento, giustificato dall’obiettivo rieducativo del sistema penale, ha suscitato reazioni contrastanti. Da un lato, i suoi legali evidenziano il ravvedimento e lo sforzo di reinserimento sociale della ragazza, che durante la detenzione ha anche conseguito una laurea in Scienze Infermieristiche con il massimo dei voti. Dall’altro, molti cittadini di Ladispoli e la famiglia Vannini trovano difficile accettare che Martina possa riavvicinarsi a una vita normale mentre il ricordo di Marco e del suo tragico destino è ancora così doloroso.

    Una ferita ancora aperta

    Per Marina Conte, la madre di Marco, la giustizia non è bastata a placare il dolore. «Il mio angelo biondo non c’è più», ha detto in passato, sottolineando come ancora oggi permangano dubbi su ciò che accadde davvero quella notte nella casa dei Ciontoli. La Cassazione, nel 2021, ha confermato le condanne: 14 anni per Antonio Ciontoli, sottufficiale della Marina, e 9 anni e 4 mesi per il resto della famiglia. Eppure, il percorso giudiziario non ha potuto restituire a Marco la vita che aveva davanti. Soprattutto l’intera famiglia, nonostante la condanna definitiva, non ha mai raccontato la verità su quella tragica notte.

    La comunità di Ladispoli tra memoria e giustizia

    La decisione di permettere a Martina di lavorare fuori dal carcere ha riaperto le cicatrici di un’intera comunità che non ha mai dimenticato Marco. La villetta in cui si consumò la tragedia è stata messa all’asta lo scorso ottobre, ma per Ladispoli quello spazio rimane il simbolo di una notte in cui si spensero per sempre le speranze di un giovane uomo.

    Mentre Martina guarda avanti verso una possibile reintegrazione nella società, Ladispoli continua a chiedersi se la giustizia possa mai realmente rispondere al dolore di una perdita così grande. Per la città, Marco Vannini rimane non solo una vittima, ma anche un monito per il valore della vita e dell’umanità che quella notte furono traditi.