
CIVITAVECCHIA – Riceviamo e pubblichiamo da Maurizio Iacomelli, Per il coordinamento delle imprese TVN
“La recente posizione espressa dal Presidente degli USA Donald Trump in ordine all’utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica non può passare inosservata, ed impone una serie di necessarie considerazioni. In particolare, Trump sottolinea che diverse nazioni, tra cui spicca la Cina, hanno nel recente periodo costruito centinaia di centrali elettriche a carbone, consentendo incredibili vantaggi economici rispetto agli stessi USA, tenuti invece ostaggio da lobby ambientali. Da ciò, la decisione di Trump di autorizzare la sua amministrazione ad iniziare immediatamente la produzione di energia elettrica con il meraviglioso carbone pulito. Ora, al di là dei “toni coloriti” con cui è solito esprimersi il Presidente Trump, e senza voler minimamente entrare nel merito delle premesse del suo ragionamento – la qual cosa potrebbe produrre una sterile quanto fuorviante contrapposizione tra opposte fazioni – si intende invece stigmatizzare da un lato quanto nel mondo sia incidente il ricorso al carbone quale elemento per produrre energia elettrica competitiva, e dall’altro lato come come vi sia un trend al suo aumento piuttosto che alla sua riduzione.
In questo contesto, osservando ed analizzando dove sta andando concretamente lo scenario internazionale, appare sempre più incomprensibile questa fretta di voler chiudere le centrali a carbone sul territorio italiano, addirittura con 5 anni di anticipo rispetto al precedente obiettivo. La domanda sorge spontanea: c’è forse un premio all’Italia che giustifichi un sacrifico di questa portata, del tutto irrisorio ed irrilevante ai fini ambientali nel “contesto mondo”,( vorremmo ricordare che la CO2 prodotta sul nostro territorio incide di circa lo 0,8% a livello planetario e di questa la parte prodotta dalle centrali a carbone che potenzialmente possono essere ancora chiamate in produzione assume una parte irrilevante) per cui si vada a rinunciare a questa fonte di energia ed occupazione ed al contempo acquistando dall’estero? Ognuno sia libero di rispondere come meglio crede; a noi pare che il premio possa solo essere una medaglia all’insipienza, condividendo le prese di posizione espresse da autorevoli esperti di energia, in cui si parla espressamente di suicidio sul no al carbone.In verità ci sono tre punti su cui vorremmo focalizzare l’attenzione, che con una dose di sano pragmatismo dovrebbero far propendere il Governo verso una revisione di una scelta fallace fatta qualche anno fa di uscire in anticipo rispetto non a paesi come la Cina e USA che non contemplano questi scenari, ma marcare un disallineamento rispetto all’indirizzo dato dalla UE che fissa tendenzialmente la carbon exit al 2030 con paesi come la Germania e la Polonia che possono posticiparla al 2038. Il primo punto riguarda la sicurezza energetica, non può un paese come l’Italia dipendere per circa il 16%dalle centrali nucleari francesi e dal GNL che ci viene gentilmente venduto dagli USA ad un prezzo dieci volte superiore rispetto a quanto ci costava il gas russo.
Questo si riverbera sul costo dell’energia che penalizza il settore industriale italiano che porta molte aziende a delocalizzare la propria produzione all’estero e sul costo della bolletta per le famiglie che sta raggiungendo cifre esorbitanti.Si rafforza, quindi, il nostro pieno convincimento di posticipare l’uscita dal carbone fino al precedente obiettivo del 2030 o perlomeno un allineamento con le centrali della Sardegna, fatto salvo un costante monitoraggio dell’andamento internazionale sull’utilizzo dei combustibili fossili.
Questa proroga permetterebbe anche una pianificazione efficace di quella che potrà essere la reindustrializzazione del sito di Torrevaldaliga Nord in una maniera che consenta l’effettiva continuità produttiva delle aziende coinvolte nella filiera carbone, con tutte le loro maestranze, scongiurando qualsiasi ipotesi di interruzione lavorativa e cassa integrazione, la qual cosa porterebbe certamente a chiusura di svariate realtà produttive.
Primum vivere deinde philosophari. A supporto di questo assunto vorremmo ricordare allo stolto e all’inclita che siamo in notevole ritardo con i progetti di riconversione che scontano tra l’altro la mancanza di aree al momento disponibili, e di condizioni di vantaggio per chi volesse investire nei nostri territori.
Dopodichè si passerebbe alla disamina dei progetti ed ai tempi tecnici di attuazione per cui la moratoria che chiediamo sarebbe una boccata di ossigeno per il nostro territorio e ci porterebbe a scongiurare operazioni di macelleria sociale nell’immediato. “